Discussione con un’amica su Facebook.
Premetto: sono favorevole all’eutanasia, a patto che sia una libera scelta dell’individuo.
L’amica, di professione medico, invece è contraria, forse indotta dal giuramento d’Ippocrate, e mi spiega che l’importante è sedare il dolore e che nel solo ospedale di Aviano si eroga la medesima quantità di morfina che viene usata in TUTTI gli ospedali del resto d’Italia .
Certamente, ribatto io, eliminare il dolore è un’ottima soluzione, ma se ad un certo punto le dosi di morfina mi dovessero ridurre come una larva , incapace di intendere e volere, distesa su un letto, estraniata dal mondo circostante, al puro stato vegetativo… la chiamiamo vita questa?
Sotto l’effetto della morfina, mi si obietta, se non sei cosciente che t’importa se sei vivo o morto? M’importa certamente, perché così evito lunghe trafile per cure, pratiche sanitarie ed igieniche che possono essere invece destinate a chi invece ne abbisogna maggiormente.
Mi si risponde, (lei ed un altro contatto) che esiste sempre il suicidio, anzi l’altra mi invita caldamente e con molta gentilezza, a gettarmi da un cavalcavia. Al di là del conoscere o meno l’etimologia della parola “eutanasia”
quest’ultima persona forse non ha presente l’espressione “dignità della morte “. Perché impedire a chi vuole (e sceglie questa via in modo consapevole ) di evitare una morte così violenta quando può farlo nel suo letto (ospedale, clinica o casa non ha importanza )?
Io non voglio impedire a te di soffrire o di ridurti ad una larva, se questo è il tuo pensiero, ma tu non devi permetterti di impedire a me di pensare diversamente, tanto più che non danneggerei nessuno con questo mio atto e addirittura nemmeno il giuramento di Ippocrate verrebbe intaccato,
(GIURO
…di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
…
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona)
in quanto viene preparato un beverone che il malato deve bere personalmente, libero quindi di tirarsi indietro anche all’ultimo istante. Quindi resterebbe sempre salvo il giuramento d’Ippocrate, senza tramutarsi nel giuramento d’Ipocrita, come invece accade talvolta in certi ospedali dove, si mormora, l’eutanasia viene comunque praticata, ma senza renderlo noto.
E mi vengono in mente scene terrificanti.
Io ad esempio non avrei il coraggio di Rossana Benzi, che trascorse la maggior parte della sua vita – 29 anni – imprigionata in un polmone d’acciaio, vedendo le persone solo attraverso il riflesso in uno specchio…
Io non sarei capace di trascorrere il resto della mia vita come l’indimenticabile Ambrogio Fogar, tetraplegico, accudito in tutto e per tutto, anche nelle necessità più intime, da persone a volte estranee.
Davanti a me si prospetterebbero giornate sempre uguali, monotone, piatte… non resisterei, non sarebbe vivere, per mio conto, anzi mantenermi in vita sarebbe solo un atto di estrema crudeltà.
Questo nel caso di malattie altamente invalidanti, ma per malattie terminali? Cercherei di resistere finché posso, poi domanderei senza dubbio di morire… Chi si credono di essere coloro che vorrebbero negarmi una simile scelta?
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