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Eutanasia di un partito

Creato il 08 marzo 2012 da Albertocapece

Eutanasia di un partitoChe effetto fa vivere nell’unico Paese al mondo, formalmente democratico dove la sinistra non è rappresentata in Parlamento?  Strano, irreale come una sorta di sogno di quelli ricorrenti e assurdi che si fanno quando si ha la febbre. Ma sta di fatto che evidente che il progetto di creare un Labour Party, sia pure corroso dalla già fallita esperienza blairiana, sta miseramente fallendo.

I segni che ci si avvia alla fine ci si allungano dappertutto dalle primarie alle risibili incertezze su qualsiasi cosa possa contraddire il pensiero unico liberista e i modi in cui esso si declina in questa triste stagione europea. Certo è paradossale che il Pd non voglia fare atto di presenza alla manifestazione della Fiom in difesa dei diritti del lavoro, perché ci saranno i No tav, rappresentati dall’ex sindaco di Susa che fu eletto con il Pd. Chi ama il grottesco ha un’inesauribile fonte di ispirazione.

Ma queste sono solo le catastrofi simboliche di una perdita di rappresentanza politica che purtroppo ha effetti più sostanziosi e negativi . Pare di capire che Bersani vorrebbe scambiare la cancellazione dell’articolo 18 in cambio di due miliardi di aiuti alla disoccupazione: sempre che si trovino (per la Tav ci sono sempre) e sempre che non siano un contentino effimero destinato a scomparire in futuro.

Ora è evidente che l’articolo 18 non fa male a nessuno è un semplice segno di un confine, quello tra la civiltà del lavoro e le sue forme di sfruttamento più evidenti: ogni cedimento in nome di una inesistente necessità è solo una rinuncia alla primogenitura. Ma mettiamoci nei panni di Bersani assediato dai reazionari margheritini e dai poltronieri alla Veltroni, diciamo che uno scambio con un nuovo welfare si può fare. Bene, allora prendiamo carta e penna e mettiamoci a vedere se i due miliardi sono un compenso oppure una svendita.

In questo momento i disoccupati “ufficiali” in Italia sono 2.713. 749 più 3.118. 297 lavoratori precari che più o meno entrano ed escono dallo stato di disoccupazione.  Ora due miliardi significa che per ogni disoccupato sono disponibili 864,42 euro all’anno grazie ai quali verrà probabilmente assicurato il caffè con mezza brioche per il sostentamento. Ora, non vorrei fare della demagogia, ma due miliardi sono parecchio meno delle spese vive che vengono affrontate annualmente per il Parlamento, il Quirinale e i voli di Stato: non è un po’ poco anche per svendersi? E soprattutto non è davvero una miseria per far fronte a un problema sociale gravissimo e di civiltà e per mettere in piedi un nuovo welfare?

Purtroppo i numeri esistono. E appena qualche settimana fa abbiamo saputo dall’Ocse che l’Italia è il fanalino di coda in Europa per la spesa pubblica a sostegno della disoccupazione con lo 0,4% di Pil, a confronto con cifre molto superiori come il 3,1 del Belgio, il 2,2 della Spagna, l1,4% di Francia e Germania, l’1,9 dell’Olanda o l’1 dell’Austria.   E – attenzione – questi numeri si riferiscono  ai puri strumenti di disoccupazione di breve e medio periodo, perché la disoccupazione cronica offre nella maggior parte dei Paesi strumenti che non rientrano in questi capitoli. Ma comunque sia, vediamo: 2 miliardi farebbero aumentare la nostra spesa per la disoccupazione dallo 0,40 allo 0,53 per cento del Pil, cifra peraltro già raggiunta proprio negli anni tra il 2003 e il 2006, quindi in gran parte sotto Berlusconi, durante il cui regno i partiti che oggi fanno parte del Pd criticavano aspramente la scarsità di risorse in questo campo.

Insomma due miliardi non sono un nuovo welfare, sono una semplice elemosina concessa per assicurarsi che tutto fili liscio, che non si siano troppe resistenze. Per arrivare al livello della Francia e della Germania dovremmo prevedere almeno 15 miliardi l’anno: una cifra notevole, ma certamente di gran lunga inferiore a quanto attualmente viene buttato via per tav, aerei, costi impropri della politica e soprattutto nella corruzione. La corte dei conti stima 60 miliardi solo su questo capitolo. Ma il decreto anti corruzione tarda e le anticipazioni che si sentono lo classificano piuttosto come filo corruzione o al massimo un brodino fatto apposta per passare sotto le forche caudine del Cavaliere. L’intendimento di fare pagare l’Ici alla Chiesa si è infranto dentro una disciplina ambigua che rischia paradossalmente di costituire un aggravio ulteriore per lo Stato, grazie all’aumento dell’evasione e del nero necessario a provare la natura “non commerciale” di infinite scuole e onlus di ogni tipo. E l’aumento delle tasse e dell’iva infierisce soprattutto sui ceti più deboli a causa dei meccanismi recessivi adottati.

Alla fine solo la civiltà costa così poco che ci si sente di svenderla, assieme però anche a un partito come gadget: paghi uno, prendi due.

 


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