A Napoli la superstizione ha sempre e solo aiutato a vivere
Si comunica che martedì 2 luglio 2013 alle ore 18,00
presso Loffredo Libreria in via Kerbaker, 19/21 a Napoli
sarà presentato il libro “Il sussurro di Vico Pensiero” dell’autrice partenopea Tina Cacciaglia,
noir basato sui misteri e le superstizioni della città di Napoli.
Con l’Autrice interviene lo scrittore Maurizio Ponticello
letture dell’attrice Brunella Caputo
modera la dottoressa Corinne Bove
“Povero pensiero me fu arrubbato, pe no le fare le spese me l’ha tornato”.
Così recita la lapide posta a vico Pensiero, secondo una leggenda popolare, da un giovane poeta innamorato. Una strega dai lunghi capelli neri e dagli occhi ammalianti, lo sedusse con teneri
sorrisi e dolci parole. A lui si concesse con la devozione di una sposa, finché non ci fu più un
frammento d’anima da rubargli ancora.
Nel Palazzo San Severo a Napoli, la bellissima nobildonna Maria d’Avalos venne uccisa dal
marito, il principe Carlo Gesualdo, insieme all’amante: era la notte tra il 16 e il 17 ottobre del
1590. Si narra che il suo fantasma vaghi ancora nell’oscurità delle notti napoletane.
Fantasmi e leggende del passato. La vita di Adriana s’incrocia con l’antica storia della
nobildonna Maria d’Avalos e del suo amante e con quella contemporanea di Elena, una collega
di studi trovata morta con in gola della saggina di cui sono fatte le scope delle streghe. Adriana
si addentra in una Napoli a lei sconosciuta, nei rioni appartenenti alla camorra, e assieme al
fidanzato, un tormentato Commissario di Polizia, inizia una indagine che la porterà a scoprire
una vera e propria città nella città, immersa in antiche tradizioni, incarnate da personaggi come
Costanzo ‘o Scartellato, che parla con i morti del Cimitero delle Fontanelle, o Maria ‘a Putecara,
che legge le carte e scaccia il malocchio. Un viaggio negli inferi che è un autentico giallo tra
coinvolgenti intrecci in una Napoli popolata da fantasmi e superstizioni, immersa nell’occulto,
nei misteri e nelle sue contraddizioni.
Prefazione di Maurizio Ponticello
Le chiavi della città celata: istruzioni per l’uso
Napoli è la più misteriosa città d’Europa,
è la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio,
come Ninive, come Babilonia.
(…) Non è una città: è un mondo.
Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno.
Curzio Malaparte (1949)
«Ma sono a Napoli? Napoli esiste?». Tra i tanti viaggiatori illustri che hanno visitato la città, Jean-
Paul Sartre si chiedeva se fosse capitato o meno in una realtà separata. La perplessità espressa
da Sartre è la stessa di Goethe, Dumas, De Sade… che, trafitti dall’insolito humus partenopeo,
ne hanno poi lasciato ampie tracce nei loro taccuini e nelle storie che hanno raccontato. Napoli
non si rivela mai subito, e certamente non per il motivo – come pure affermava il filosofo
francese – che «è una città che si vergogna di se stessa», ma perché è una capitale antica che
serba e tiene ancora oggi insieme più livelli architettonici e di coscienza, e i suoi abitanti,
spesso inconsapevolmente, continuano a essere profondamente radicati al proprio retroterra
plurimillenario.
Il cuore di Napoli è apollineo; la sua anima, invece, è dionisiaca. I due princìpi apparentemente
opposti si fondono e si manifestano nell’archetipo della mitica fondatrice dalle cui membra
spiaggiate senza vita è germogliato il primo insediamento urbano: la Sirena Parthenope, la
vergine psicopompa (conduttrice di anime) ponte tra i mondi, metà donna e metà uccello prima
che venisse demonizzata dagli uomini di Chiesa, che l’hanno fatta inabissare nei flutti e bollata
con l’ingrato marchio di “acchiappa uomini” pisciforme. Da qui, dalla genesi, le medesime
radici antiche perdurano e a tratti affiorano e, mostrandosi, qualificano lo spirito della città.
Perciò, su Napoli aleggia un’aura di mistero: la morte viene esorcizzata dalla stessa morte, e la
vita trionfa a suon di canti; in superficie si avverte la dimensione parallela dell’immensa cavità
su cui poggia, e si assaporano i flussi magnetici che provengono dagli antri del sottosuolo; le
leggende si amalgamano con la storia, sangui si sciolgono a decine e pietre donano fertilità.
Il principio pulsante di Napoli si nasconde sotto la polvere secolare di veli e veli stratificati,
e affiora con l’aspetto di tradizioni che i suoi residenti hanno preservato. È quello che
comunemente s’intende con la parola superstizione quando si vuole indicare – non senza una
certa spocchia “illuminista” – la natura irrazionale del popolino incolto che si affida alla sorte per
sconfiggere la malasorte. Ma è una errata interpretazione, specie se si vuole mettere il vocabolo
in rapporto con Napoli: qui, molto più che altrove, la superstizione è ciò che è superstite, ciò che
è sopravvissuto “sano e salvo” allo scorrere dei secoli. È altresì evidente che molte tradizioni si
sono trasformate – come la purezza della lingua –, che è andata smarrita l’autentica natura delle
cose, e che, a sfavore del contenuto, il più delle volte è scampata solamente la forma esteriore.
I gesti, le parole, i modi di dire, alcune espressioni arcaiche declamate con l’articolo greco
’o, certe formule apotropaiche a prima vista senza senso – poiché trasfigurate dalla “nuova”
religione che ne ha invertito il significato originario –, arricchiscono la materia folcloristica
partenopea la quale, però, così racchiusa senza una interpretazione “alta”, subisce un grave
oltraggio giacché questa è la maniera più subdola per uccidere i popoli: ingabbiare la loro anima
in un museo.
Con tutte le sue contraddizioni di chiari e di scuri, di luci e di ombre che si sovrappongono o si
contrastano, Napoli è viva. Eppure, solamente alcuni abitanti lo avvertono, come lo intuiscono
soltanto alcuni ospiti occasionali che, accostandosi senza pregiudizi alla magia evocata dalla
città, si sentono proiettati in una dimensione “altra”, e ne vengono ghermiti. E questa condizione
di confine – caratteristica di tutte le metropoli liminali, come Praga – la si percepisce bene tra le
parole del romanzo di Tina Cacciaglia che s’addentrano tra quei misteri di Napoli avvelenati da
una parte della sua anima ammalata e ferita. Nel labirinto di strade che ci fa percorrere l’autrice
– l’antica agorà della Napoli greco-romana, Piazza San Domenico Maggiore, Piazza del Gesù…
–, e nei luoghi sacri alla pietas e alla morte – come il Cimitero delle Fontanelle –, si respirano
odore di eterno, profumo di credenze e di intrugli inesplicabili da fattucchiera che si intrecciano
alle consuete apparizioni di munacielli, belle ’mbriane e fantasmi, che fanno tutt’uno con la
realtà del Centro storico, e non solo.
A metà tra un libro di mistery e uno di misteri autentici, “Il sussurro di Vico Pensiero”, con una
fascinazione, conduce per mano il lettore all’interno dell’enigma paradossale delle credenze
religiose partenopee, tra i suoi incantamenti, nei culti negati – e comunque officiati – delle
capuzzelle o anime pezzentelle, nelle pratiche oscure della fatturazione e delle cartomanti,
nell’intimità di coloro che Matilde Serao denunciava come «il cancro delle famiglie borghesi»,
le Sibille dei poveri che rifilavano speranze e sogni a poco prezzo: gli Assistiti. E, con misurata
consapevolezza narrativa, l’autrice lascia che siano le mura stesse dei palazzi a raccontare le
vicende di cui sono state testimoni, integrando l’eco delle voci dei vicoli a quelle dei protagonisti
della torbida e inquietante vicenda.
Il romanzo di Tina Cacciaglia è un giallo insolito. Si racconta di un garbuglio amoroso e di
un’indagine che toccano argomenti impalpabili e impensabili. La trama attraversa i culti della
morte che si allacciano alla vita. Si ama, con la passione di un sortilegio. E si muore, con la
saggina in bocca. Innamorata delle proprie radici, tuttavia, è la stessa autrice a ricordare ai
lettori che si tratta di una fiction: «A Napoli – scrive – si è sempre morti di camorra, di fame o
di colera, al massimo di terremoto, ma di superstizione no. A Napoli la superstizione ha sempre
e solo aiutato a vivere».
Per rintracciare una delle chiavi di accesso ai tanti segreti che la città nasconde, ogni tanto
sarebbe bene rammentarlo.
Maurizio Ponticello
L’autrice
Tina Cacciaglia è nata a Napoli, laureata in Sociologia svolge l’attività di Conciliatrice Professionista, oltre a interessarsi da diversi anni di scrittura ed editoria.
Ha pubblicato diversi articoli per riviste quali L’isola, il Giornale di Cava, Il Vescovado. Una sua favola è stata letta a Radio Rai Due ed è arrivata finalista al concorso Parole in Corsa con un brano pubblicato in antologia.
Ha partecipato a Torino al Perfect Day della Scuola Holden, organizzato da Alessandro Baricco, con un breve brano, pubblicato dal quotidiano Il Denaro e dalla rivista Grazia.
Il romanzo storico “La Signora della Marra”, di cui è una delle due autrici, è stato segnalato
dalla giuria del Premio Calvino 2009 come degno di merito, e pubblicato da Concilia Form (2013).
Sempre nel 2009 ha vinto il primo premio Creatività e scienza, città di Salerno con un racconto
di fantascienza storica pubblicato in antologia.
Nel concorso nazionale Io scrittore 2011 “Il sussurro di Vico Pensiero” è risultato tra i vincitori e pubblicato in ebook dal Gruppo Mauri Spagnol nel marzo 2012.
Runa Editrice
“Il sussurro di Vico Pensiero” di Tina Cacciaglia
2ª edizione – con la prefazione di Maurizio Ponticello
genere noir
260 pagine, brossura, € 16,00