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Sedere a 8 file di distanza dall’orchestra significa sentire la musica che ti serpeggia nelle vene. I tamburi e le trombe vibrano, scuotendoti l’anima. Difficile restare fermi. Impossibile non cantare, quando conosci a memoria tutti i testi.
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Se non avessi ricevuto quell’email, lunedì mattina, non avrei mai saputo che il West End londinese era tornato a Manchester con Evita. Non avrei mai saputo che c’erano ancora dei biglietti disponibili. Quando sono andata alla biglietteria del Lowry Theatre, dopo il lavoro, mai mi sarei aspettata di sentirmi rispondere “any!” alla mia domanda “che biglietti vi sono rimasti e in che giorni?”. Perché Evita, dopo un breve interludio di 2 settimane nel 2011, è tornato a Manchester per appena 10 giorni. La crisi, però, nel frattempo ha cominciato a mordere più di prima e pochi possono permettersi di spendere 35 sterline per un biglietto con un anticipo di 3 mesi. Di fronte a un teatro vuoto il costo del biglietto ovviamente non dimezza – ma fioccano le e-mail agli abbonati per ricordare loro che ehi, ci siamo, siamo qui e vi abbiamo portato Evita!
Finché, però, c’è chi mi dice “35 per un musical?? Ma sei pazza??”…e ne lascia 50 in un weekend tra i banconi del Northern Quarter e i locali del Gay Village, i teatri non possono riempirsi, a Manchester. Punti di vista. Alla fine, comunque, il Lowry stasera era pieno lo stesso. L’e-mail last minute agli abbonati ha funzionato. Dovrebbero sponsorizzare di più le venues, ma a Manchester non ci sono le scale mobili della Tube lungo cui piazzare e gli autobus preferiscono sfoggiare la pubblicità dell’ultima minchiata cinematografica uscita piuttosto che cosa c’e’ in ballo nei tre teatri in croce della città. E alle fermate dei bus? Non scherziamo, davvero vogliamo far rimpiazzare la pubblicità del Pimms o della Stella Artois con quelle di cultura?
Per me i 35 pound di stasera sono stati ben spesi tanto quanto i 35 pound pagati a febbraio per Cats. Ma Cats, pur avendomi scatenato dentro la voglia di ballare al ritmo di Jellycus Cat e di piangere all’ascoltare Memories, non mi aveva dato questa pelle d’oca. Così vicina al palco, gli acuti e le note di A New Argentina hanno riverberato dentro l’anima di chi ascoltava. Un brivido che finora avevo provato solo nella scena finale de Les Miserables. Al cinema. Ma un’esperienza mozzafiato come se quella barricata e quegli attori li avessi avuti davanti in carne e ossa.
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In Evita il Che stasera parte con la voce di una cornamusa sgonfia. La musica si sente a malapena. Sembra un segugio sfiatato da una corsa troppo lunga. Non va a tempo. Ma si riprende. Dieci minuti dall’inizio dello spettacolo, mentre tre donzelle over50 locali in pesantenritardo vengono a piazzarsi davanti a me (perché nei paesi civilizzati come la GB è permesso entrare a spettacolo iniziato…), lui ti sfora i timpani con Rolling Out.
Evita merita un discorso a parte. Bravissima attrice dalla voce cristallina, elevata e penetrante. Completamente immersa nel personaggio. Se il personaggio avesse inteso essere un’eccentrica schizzata ed esagitata. Perché questa è la versione di Evita che ci regala questa compagnia del West End. Una trasposizione cantata della storica Bella Figheira interpretata da Anna Marchesini ne I Promessi Sposi. Si accomodino, lorsignori, bevino qualcosa! E poi non si può guardarla cantare Lover su quel balcone con addosso la vestaglia di piume di struzzo e pensare alla mia ex coinquilina londinese. Proprio non si può. Ma non sono riuscita a farne a meno. L’isteria era la stessa. E anche le piume di struzzo, direi. Soltanto, Evita non era appesa al soffitto di un club in tacchi a spillo seduta su un hoola hoop foderato di pelo bianco. Si’, ne ho conosciuta di gente strana, in Albione.
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Immancabile, alla pausa, l’ingozzamento generale della fauna mancuniana intorno. Puoi già vedere quello che ci sarà su quella moquette mentre la silfide accanto a te si caccia in bocca mezzo pacchetto di Maynards alla liquirizia con una manata sola. La sua amica, altra silfide da 150 kg, per non sentirsi esclusa ne pesca una. E intanto ravana come una disperata nella busta di Sainsbury che si e’ portata appresso, in cerca dell’immancabile pacchetto di McCoins.
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Abituata sia alla versione che ho su CD del musical che all’Evita con Madonna e Banderas e Price, mi ci è voluto un po’ per abituarmi a questo ennesimo riarrangiamento della stessa musica. Il Péron che avevo davanti sullo stage stasera, però, aveva la stessa voce calda e modulare di Price. Così come Magalli avrebbe dato la paga al Magalli del grande schermo. E il Che era un jolly good fella completamente calato nella parte, al punto che, al calare del sipario, s’e’ spalmato a terra per sventolare la mano nell’ultima frazione di pubblico rimasta visibile prima della chiusura completa delle tende.
Evita invece è rimasta una macchietta fino all’ultimo momento. Una figura comica, una caricatura anche nella parte finale, nella morte. Impressionante e imponente, accompagnata da quei colpi di tamburo e da quella sua voce vibrante e forte. Ma non mi è piaciuta. L’interpretazione di Evita non mi è proprio piaciuta. Alla sfilata degli attori, la platea è esplosa. Qualcuno ha anche tentato una standing ovation, ma ragazzi, voi mi tentate una stand ovation a Manchester? Si sono rimessi a sedere, mesti e delusi. I 35 pound meglio spesi negli ultimi sei mesi e forse di sempre, parlando di teatro.