The Search For General Principles Of Social And Economic Evolution By Geoffrey M. Hodgson And Thorbjørn Knudsen
È uscito quest’anno in paperback un libro del 2010 di Hodgson e Knudsen sulla “congettura di Darwin”,[1] secondo cui i meccanismi fondamentali dell’evoluzione delle specie, cioè la variazione, la selezione e la replicazione (o ereditarietà), possono essere applicati anche alle entità e ai processi sociali. Secondo gli autori, una volta sgombrato il campo dagli equivoci, il darwinismo è l’unica cornice teorica generale disponibile per analizzare l’evoluzione dei sistemi economico-sociali. Infatti due teorie generali alternative, cioè la teoria walrasiana dell’equilibrio economico e la teoria dei giochi, presentano svariati limiti.
La prima non dà rilevanza all’interazione fra gli agenti e ai fenomeni di apprendimento dinamico degli individui. Inoltre, come avevano osservato nel 1982 R. Nelson e S. Winter in An Evolutionary Theory of Economic Change — un’opera di cui il libro di Hodgson e Knudsen è fortemente debitore — la teoria walrasiana “non cattura l’innovatività e l’irrequietezza delle economie moderne”. In quanto alla teoria dei giochi, numerose riserve sono state mosse sia all’irrealismo delle ipotesi sulla razionalità e sulle informazioni disponibili agli agenti, sia “alla sua capacità di tener conto di fenomeni complessi e innovativi”.
Queste critiche sono valide, ma fino a che punto la proposta di Hodgson e Knudsen – da loro definita Darwinismo Generalizzato – sfugge agli stessi limiti? Gli autori sottolineano che la generalizzazione del darwinismo è del tutto diversa dall’impiego di metafore o analogie biologiche nell’indagine economico-sociale, che spesso ha dato luogo a fenomeni di riduzionismo e anche di razzismo. Ma, a differenza dell’analogia, la generalizzazione riconosce la profonda differenza delle entità e dei processi nei due campi, naturale e sociale, e la differenza delle scale temporali entro cui i processi si svolgono. Essa però individua la presenza di aspetti comuni (i tre meccanismi suddetti) ad un alto livello di astrazione, e non nei dettagli.
Il Darwinismo Generalizzato fornisce quindi una cornice meta-teorica per interpretare la realtà: essa deve essere sempre accompagnata da spiegazioni particolareggiate. Nelson e Winter avevano suggerito che le ‘routines’ a livello di impresa svolgevano lo stesso ruolo che i geni adempiono nella teoria biologica dell’evoluzione. Come i geni sono ereditabili, così le ‘routines’ (che sono regole pratiche tecno-organizzative) sono trasmissibili, per esempio, a nuovi impianti. Inoltre, sono persistenti, determinano il possibile comportamento di un’impresa (il comportamento effettivo sarà determinato anche dall’ambiente), e sono selezionabili: se alcune imprese con determinate ‘routines’ mostrano prestazioni migliori, esse per questo motivo sopravviveranno e l’importanza relativa di queste imprese e di queste ‘routines’ nell’industria tenderà ad aumentare.
Da un punto di vista più astratto, la relazione fra gene e organismo (e fra ‘routine’ e impresa) può essere vista come una relazione fra un replicator (trasmettitore di informazioni sulla base di un programma prefissato, che non prevede scelte autonome) e un interactor, un agente-veicolo che interagisce con altri agenti (l’organismo biologico o l’impresa che contengono al proprio interno, rispettivamente, geni e ‘routines’).
Hodgson e Knudsen trasferiscono le relazioni considerate da Nelson e Winter dal terreno dell’analogia a quello delle entità reali. Accolgono l’idea di una continuità fra campo biologico e campo sociale,[2] e vagliano una pluralità di livelli. In ciascuno di questi livelli troviamo entità diverse che interagiscono fra loro e con l’ambiente, e su cui si esercitano i tre meccanismi darwiniani. Così, a livello dell’individuo, troviamo, come interactors, sul terreno biologico geni e istinti, e sul terreno sociale abitudini “codificate nei neuroni”. Ad un livello superiore troviamo le organizzazioni, fra cui le imprese, che operano da interactors, e includono nel ruolo di replicators le ‘routines’, le abitudini e i geni. La selezione dei livelli superiori (ad esempio delle imprese) condurrà a selezionare anche gli interactors e i replicators dei livelli inferiori.
Tuttavia è difficile che questa costruzione teorica possa dar conto della “innovatività”, “irrequietezza” e “complessità” delle economie moderne. Innanzi tutto, le ‘routines’ non descrivono la struttura delle organizzazioni e la loro identità. Inoltre, esse non sembrano in grado di determinare le prestazioni delle imprese, in particolare di fronte ad eventi imprevisti e all’esigenza di decisioni innovative. Infine, il principio della continuità dei meccanismi evolutivi fra il campo biologico a quello sociale non tiene conto di una differenza profonda. Nella concezione che Darwin aveva proposto per l’evoluzione biologica i tre meccanismi erano fra loro indipendenti. Nell’estensione di questa concezione all’evoluzione economica e culturale, questo non è più vero. Vi è una discontinuità profonda, indotta dalla capacità, propria della specie umana, di adattare, nel bene e nel male, l’ambiente ai propri scopi e di influenzare simultaneamente sia i criteri di selezione che quelli di variazione e di trasmissione ereditaria. Questa capacità di cambiare i risultati modificando le regole introduce il negoziato[3] (o il conflitto, e comunque i rapporti di potere) fra gli strumenti principali di gestione e trasformazione delle organizzazioni sociali.
[1] G. H. Hodgson and T. Knudsen, Darwin’s Conjecture. The search for general principles of social & economic evolution, University of Chicago Press, Chicago 2010 (paperback edition 2013).
[2] Per alcune riserve sull’ipotesi di continuità, cfr. R. Nelson, (2006), “Evolutionary social science and universal Darwinism”, in Journal of Evolutionary Economics, 16, pp. 491-510.
[3] Cfr. su questi temi, D.A. Lane et al. (2009), “From Population to Organization Thinking”, in D.A.Lane et al, Complexity Perspectives in Innovation and Social Change, Springer, New York.
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