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Evoluzione biologica ed evoluzione economico/culturale

Creato il 25 novembre 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Andrea Ginzburg 

THE SEARCH FOR GENERAL PRINCIPLES OF SOCIAL AND ECONOMIC EVOLUTION By GEOFFREY M. HODGSON AND THORBJØRN KNUDSEN

The Search For General Principles Of Social And Economic Evolution By Geoffrey M. Hodgson And Thorbjørn Knudsen

È uscito quest’anno in paperback un libro del 2010 di Hodgson  e Knudsen sulla “congettura di Darwin”,[1] secondo cui i meccanismi fondamentali dell’evoluzione delle specie, cioè la variazione, la selezione e la replicazione (o ereditarietà), possono essere applicati anche alle entità e ai processi sociali. Secondo gli autori, una volta sgombrato il campo dagli equivoci, il darwinismo è l’unica cornice teorica generale disponibile per analizzare l’evoluzione dei sistemi economico-sociali. Infatti due teorie generali alternative, cioè la teoria walrasiana dell’equilibrio economico e la teoria dei giochi, presentano svariati limiti.

La prima non dà rilevanza all’interazione fra gli agenti e ai fenomeni di apprendimento dinamico degli individui. Inoltre, come avevano osservato nel 1982  R. Nelson e S. Winter in An Evolutionary Theory of Economic Change — un’opera di cui il libro di Hodgson e Knudsen è fortemente debitore — la teoria walrasiana “non cattura l’innovatività e l’irrequietezza delle economie moderne”.  In quanto alla teoria dei giochi, numerose riserve sono state mosse sia all’irrealismo delle ipotesi sulla razionalità e sulle informazioni disponibili agli agenti, sia “alla sua capacità di tener conto di fenomeni complessi e innovativi”.

Queste critiche sono valide, ma fino a che punto la proposta di Hodgson e Knudsen – da loro definita Darwinismo Generalizzato – sfugge agli stessi limiti? Gli autori sottolineano che la generalizzazione del darwinismo è del tutto diversa dall’impiego di metafore o analogie biologiche nell’indagine economico-sociale, che spesso ha dato luogo a fenomeni di riduzionismo e anche di razzismo. Ma, a differenza dell’analogia, la generalizzazione riconosce la profonda differenza delle entità e dei processi nei due campi, naturale e sociale, e la differenza delle scale temporali entro cui i processi si svolgono. Essa però individua la presenza di aspetti comuni (i tre meccanismi suddetti) ad un alto livello di astrazione, e non nei dettagli.

Il Darwinismo Generalizzato fornisce quindi una cornice meta-teorica per interpretare la realtà: essa deve essere sempre accompagnata da spiegazioni particolareggiate. Nelson e Winter avevano suggerito che le ‘routines’ a livello di impresa svolgevano lo stesso ruolo che i geni adempiono nella teoria biologica dell’evoluzione. Come i geni sono ereditabili, così le ‘routines’ (che sono regole pratiche tecno-organizzative) sono trasmissibili, per esempio, a nuovi impianti. Inoltre, sono persistenti, determinano il possibile comportamento di un’impresa (il comportamento effettivo sarà determinato anche dall’ambiente), e sono selezionabili: se alcune imprese con determinate ‘routines’ mostrano prestazioni migliori, esse per questo motivo sopravviveranno e l’importanza relativa di queste imprese e di queste ‘routines’ nell’industria tenderà ad aumentare.

Da un punto di vista più astratto, la relazione fra gene e organismo (e fra ‘routine’ e impresa) può essere vista come una relazione fra un replicator (trasmettitore di informazioni sulla base di un programma prefissato, che non prevede scelte autonome) e un interactor, un agente-veicolo che interagisce con altri agenti (l’organismo biologico o l’impresa che contengono al proprio interno, rispettivamente, geni e ‘routines’).

Hodgson e Knudsen trasferiscono le relazioni considerate da Nelson e Winter dal terreno dell’analogia a quello delle entità reali. Accolgono l’idea di una continuità fra campo biologico e campo sociale,[2] e vagliano una pluralità di livelli. In ciascuno di questi livelli troviamo entità diverse che interagiscono fra loro e con l’ambiente, e su cui si esercitano i tre meccanismi darwiniani. Così, a livello dell’individuo, troviamo, come interactors, sul terreno biologico geni e istinti, e sul terreno sociale abitudini “codificate nei neuroni”. Ad un livello superiore troviamo le organizzazioni, fra cui le imprese, che operano da interactors, e includono nel ruolo di replicators le ‘routines’, le abitudini e i geni. La selezione dei livelli superiori (ad esempio delle imprese) condurrà a selezionare anche gli interactors e i replicators dei livelli inferiori.

Tuttavia è difficile che questa costruzione teorica possa dar conto della “innovatività”, “irrequietezza” e “complessità” delle economie moderne. Innanzi tutto, le ‘routines’ non descrivono la struttura delle organizzazioni e la loro identità. Inoltre, esse non sembrano in grado di determinare le prestazioni delle imprese, in particolare di fronte ad eventi imprevisti e all’esigenza di decisioni innovative. Infine, il principio della continuità dei meccanismi evolutivi fra il campo biologico a quello sociale non tiene conto di una differenza profonda. Nella concezione che Darwin aveva proposto per l’evoluzione biologica i tre meccanismi erano fra loro indipendenti. Nell’estensione di questa concezione all’evoluzione economica e culturale, questo non è più vero. Vi è una discontinuità profonda, indotta dalla capacità, propria della specie umana, di adattare, nel bene e nel male, l’ambiente ai propri scopi e di influenzare simultaneamente sia i criteri di selezione che quelli di variazione e di trasmissione ereditaria. Questa capacità di cambiare i risultati modificando le regole introduce il negoziato[3] (o il conflitto, e comunque i rapporti di potere) fra gli strumenti principali di gestione e trasformazione delle organizzazioni sociali.


[1] G. H. Hodgson and T. Knudsen, Darwin’s Conjecture. The search for general principles of social & economic evolution, University of Chicago Press, Chicago 2010 (paperback edition 2013). 

[2] Per alcune riserve sull’ipotesi di continuità, cfr. R. Nelson, (2006), “Evolutionary social science and universal Darwinism”, in Journal of Evolutionary Economics, 16, pp. 491-510.

[3] Cfr. su questi temi, D.A. Lane et al. (2009), “From Population to Organization Thinking”, in D.A.Lane et al, Complexity Perspectives in Innovation and Social Change, Springer, New York.

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