La vittoria del Partito Liberal Democratico (LDP) di Abe Shinzo alle elezioni del Senato dello scorso luglio spaventa i vicini asiatici (in particolar modo, Cina e Corea del Sud), i quali temono un cambio di politiche da parte del nuovo governo e un ripensamento sull’atteggiamento pacifico di sicurezza post-bellica giapponese. Ciò che Pechino e Seoul temono di più è che un simile risultato possa dare al Primo Ministro Abe i poteri necessari per mettere in atto il punto fondamentale della sua agenda conservatrice, ovvero la modifica dell’Articolo 9 della Costituzione, articolo che rinnega l’uso di forze militari. Fra i programmi politici di Abe spiccano, infatti, il nuovo piano di sicurezza nazionale che prevede un rafforzamento della difesa e la revisione della Costituzione pacifista dell’immediato dopoguerra.
La Cina, prima fra tutti, con la questione aperta della contesa territoriale delle isole Senkaku/Diaoyu, teme il possibile ritorno di un Giappone militarmente forte e aggressivo, con il brutto ricordo della minaccia imperialista nipponica durante la seconda guerra mondiale. Infatti, il grande timore della Cina nei confronti del nuovo governo nipponico è rappresentato dal possibile aumento delle spese militari per la corsa al riarmo voluta da Abe. Nel 2013 in Giappone la pubblicazione del libro bianco sulla difesa, che ha segnalato una crescita delle spese, ha provocato molte paure ai vicini cinesi. Tuttavia, gli aumenti in questa fase – 0,8 % per 4,68 trilioni di yen (52 miliardi di dollari) in aggiunta al budget della Guardia Costiera, che è aumentato dell’1,9 % per 176,5 miliardi di yen (2,1 miliardi di dollari) – sono più simbolici che altro.
Il rapporto fra i due grandi colossi asiatici dell’Estremo Oriente, che hanno vissuto in tempi diversi uno straordinario boom economico senza precedenti, affonda le sue radici in tempi antichi e da sempre è stato segnato da continue controversie e riconciliazioni. Negli ultimi cinquant’anni, la stabilità dei rapporti è dipesa da vari fattori relativi alle diverse politiche interne ed estere, alle scelte differenti dei Presidenti in carica e ai cambiamenti geopolitici ed economici.
Dopo il secondo conflitto mondiale e dopo la fondazione della Repubblica Popolare cinese (RPC) nel 1949, i rapporti si incrinarono a causa dell’atteggiamento revisionista di molti ufficiali giapponesi e manuali di storia che non riconoscevano le colpe dell’Impero giapponese nel massacro di Nanchino del 1937. Inoltre, con la divisione politica e geografica del mondo in piena guerra fredda, Cina e Giappone si trovarono a firmare accordi di alleanza e mutua assistenza rispettivamente con Unione Sovietica e Stati Uniti, fatto che fece complicare ancora di più i rapporti fra i due Paesi orientali. La grande crescita economica giapponese alla fine degli anni ‘60, vista dai vicini asiatici come un possibile tentativo di rimilitarizzazione nipponica, in aggiunta alla Rivoluzione Culturale cinese scoppiata nel ‘66, non fece che peggiorare la situazione. In un tentativo di riavvicinamento nel 1972 iniziò una nuova era di rapporti diplomatici fra Cina e Giappone, voluta fortemente dal Primo Ministro giapponese Kakuei Tanaka, che firmò il Comunicato Congiunto del governo giapponese con la Repubblica Popolare cinese, cui seguì il Trattato di pace e amicizia (1978). E se negli anni ‘90 gli accordi economici bilaterali fra i due Paesi si rafforzarono con l’ascesa cinese nei mercati mondiali e con la sua adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel 2001, con il primato economico della Cina sul Giappone e con il peggioramento della disputa territoriale attorno alle isole Senkaku/Diaoyu, le tensioni e i conflitti ritornarono a caratterizzare il difficile rapporto fra le due potenze.
In questo momento, la grande influenza economica e politica cinese non fa che spaventare il Giappone, che guarda ora la Cina come il suo maggiore avversario nella regione asiatica. Già durante il primo mandato di Abe, l’obiettivo di contenere la presenza cinese nel territorio era una caratteristica fondamentale della diplomazia regionale nipponica; ma adesso la situazione è diversa ed è stata proprio la disputa Senkaku/Diaoyu a far cambiare l’approccio tradizionale di Tokyo verso le politiche di sicurezza in Asia: il Giappone adesso vede il conflitto nel Mar Cinese Orientale come uno scontro direttamente connesso alle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale e alla più ampia questione riguardante le crescenti ambizioni militari di Pechino. Per questo motivo, l’obiettivo principale della politica attuale di Abe è il rafforzamento delle relazioni con l’ASEAN e con gli Stati Uniti, nel tentativo di isolare la Cina. Egli sta cercando in tutti i modi di ricostruire i rapporti di fiducia con l’alleato statunitense, indeboliti durante il governo del Partito Democratico del Giappone, attraverso la cooperazione militare e le esercitazioni congiunte, per trovare un forte appoggio sulla spinosa controversia delle isole contese – nonostante Obama preferisca non esprimersi sulla questione della sovranità.
D’altronde, Abe dovrebbe trattare con prudenza l’attuale strategia politica di dipendenza dagli Stati Uniti, innanzitutto perché il popolo giapponese potrebbe perdere fiducia nei confronti di quest’alleanza: questioni come l’eccessiva concentrazione di forze militari statunitensi a Okinawa, il trasferimento della Futenma Marine Airbase e gli impegni dettati dal Trattato di sicurezza Giappone – USA richiedono una gestione attenta e cauta. La strategia di sicurezza di Tokyo sembra si stia orientando sempre di più verso un rafforzamento dei rapporti con l’Occidente e dall’altra parte, verso una cooperazione con l’Asia Orientale. Infatti, la politica di avvicinamento del Ministro Abe verso l’ASEAN – inclusa la sua visita nel febbraio di quest’anno in tutti i Paesi dell’organizzazione, la sua dichiarazione sui cinque principi della diplomazia del Giappone nei confronti dell’ASEAN e la visita del Ministro della Difesa giapponese Itsunori Onodera nelle Filippine – è vista da molti come una mossa del piano a lungo termine di Abe nel formare una coalizione anticinese nella regione.
Il governo giapponese dovrebbe concentrarsi sulla preziosa alleanza con i Paesi dell’ASEAN se vuole instaurare dei rapporti di assistenza e scambio economico con i suoi vicini asiatici, promuovendo anche quelli con la Cina, fortemente danneggiati dalla contesa territoriale delle Isole Senkaku/Diaoyu. È importante per il Giappone promuovere una nuova era di accordi economici e commerciali con il prezioso partner cinese, anche perché quest’ultimo rappresenta il primo fornitore del Giappone (22 per cento delle importazioni nel 2009) e le principali industrie nipponiche dipendono dalla fornitura cinese di terre rare, materiali importanti per la produzione di beni ad alta tecnologia come schermi al plasma e telefoni cellulari.
Se il Giappone vuole concentrarsi sulla sicurezza nazionale, allo stesso tempo contribuendo alla pace globale, Abe deve fare in modo di avviare rapporti sereni con i vicini asiatici e con la Cina, mettendo da parte le sue spinte nazionaliste e considerando l’intero contesto internazionale e geopolitico.
Bibliografia
Ben Ascione, Abe and Japans regional diplomacy, “East Asia Forum”, 20 luglio 2013.
Sato Manabu (transalted by Michiko Hase), The Marines will not defend the Senkakus, “The Asia Pacific Journal” (Vol 11, Issue 27, No. 2), 8 luglio 2013.
Zhang Yaohua, Japanese Diplomacy in the “Abe 2.0”Era, “China Institute of International Studies”, 21 agosto 2013.