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EXODUS – Blood In, Blood Out (Nuclear Blast)

Creato il 03 novembre 2014 da Cicciorusso

ExodusBloodInBloodOutSe siete tra quelli che hanno stappato lo champagne alla notizia del licenziamento ex abrupto di Rob Dukes, avvenuto mentre il povero ciccione (oh, a me stava simpatico) era in luna di miele, Blood In, Blood Out potrebbe pure piacervi molto. Se, al contrario, ritenete come me che Shovel Headed Kill Machine fosse un disco della madonna e che Exhibit B, con 3 o 4 canzoni in meno, sarebbe stato inattaccabile, converrete che la reunion degli Exodus aveva continuato ad avere senso perché i californiani erano rimasti una band vitale, che provava a sperimentare anche a rischio di qualche sfondone. La filosofia di questo album, invece, è la stessa del nuovo At The Gates: non disorientare i fan e volare basso, così, pure se si casca, non ci si fa troppo male. E quando si ragiona così il risultato va raramente oltre il carino, dai. Con la differenza che il nuovo At The Gates nel mio iPod ci resterà, Blood In, Blood Out non lo so. 

Il figliol prodigo Steve Souza ne esce bene. Se è vero, come ha raccontato lo stesso Zetro, che il cantante era stato buttato in studio subito dopo un’audizione improvvisa, a disco già completato, se l’è cavata egregiamente. Il ragazzo, peraltro, il posto se lo è guadagnato sul campo: con il suo progetto familiare (in formazione ci sono i suoi due figli) Hatriot aveva dimostrato di essere ancora in gamba. Triste dirlo, però il primo degli Hatriot, pur con tutti i suoi limiti, era più divertente di un lavoro che sembra veramente scritto da Gary Holt nei tempi morti tra un tour con gli Slayer e l’altro. Vogliamo credere nella sincerità e nello spirito di rimpatriata tra amici che avrà sicuramente animato le partecipazioni di Kirk Hammett (che suona un assolo su Salt the wound) e Chuck Billy (che sbraita su B.T.K.) ma, in un contesto di tale piattezza, complice l’obbligatoria produzione del cazzo garantita dalla Nuclear Blast, rischiano di rendere il risultato ancora più artificiale. A tratti divertente (i cori da stadio di Body Harvest), alla lunga difficile da digerire, Blood In, Blood Out non riprende il filo da Tempo Of The Damned, nel caso qualcuno ci avesse sperato. La modernizzazione intrapresa negli ultimi dieci anni non è stata rinnegata. Il problema è che, essendosi ripresi Souza, non possono uscire dal seminato più di tanto e quindi si dedicano al riciclo. Come con il vecchio Impact Is Imminent, non serve a niente pestare come fabbri se le idee sono così poche. Per il resto, è lo stesso discorso di Redeemer Of Souls. Ovvero, perché, in questi casi, fare un disco di un’ora e passa e non di quaranta onestissimi minuti?



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