Fra le cose che mi piacciono di questo Expo c'è Foody, la mascotte dell'evento ispirata ai ritratti di Arcimboldo. Con la sua faccia fatta di ortaggi e frutta non puoi che fartelo piacere - checché ne dica Oliviero Toscani - peccato che sia poi un gadget venduto a caro prezzo assieme alla sua congrega di amici. All'inizio del Decumano c'è un negozio debordante di souvenirs, si entra con le migliori intenzioni e si esce con un segnalibro di un paio d'euro, non acquisti altro perchè non vuoi piegarti a logiche di speculazione talmente evidenti da essere irritanti. E' un bene che questo store sia all'inizio del tuo percorso, così afferri subito il senso dell'esposizione, giacché queste logiche si trovano ovunque in tutta l'Expo, nei prezzi gonfiati di cibi, bevande, libri, gadget vari. Meglio semplicemente "farsi gli occhi" ammirando le prodezze umane nelle architetture dei padiglioni, abbandonarsi al genio creativo dei tanti che valgono file di un'ora e, perchè no, commuoversi dinanzi all'immaginazione che si fa percorso nel percorso.
In coda verso la pagoda del Nepal
Il decumano
Il variopinto Ecuador
E' come un gioco a scatole cinesi la percezione di questi spazi: il percorso è suddiviso in cardo e decumano, mutuato dallo stile urbano del mondo romano antico; lungo il decumano si trovano su una o più file i vari padiglioni. Ci si fa un'immediata idea dei loro contenuti anche solo a guardarli da fuori. Nazioni come l'Angola, il Brasile, l'Ecuador, gli Emirati Arabi Uniti hanno puntato su una visione affascinante a primo impatto. La vera sorpresa, però, si trova all'interno di diversi padiglioni, come ad esempio la Corea, che ha realizzato una vera istallazione d'arte sul problema del cibo, la fame nel mondo, lo spreco globale. Oppure Cina e Giappone, col loro racconto raffinato che ricorre alle arti tipicamente orientali della calligrafia, le ombre, il disegno animato. Il Nepal, punta sull'aspetto della religiosità e allestisce un'autentica pagoda sulla quale sventolano le tipiche preghiere multicolori. Il Brasile offre al suo ingresso una camminata su rete e mentre traballi goffamente pensi che hanno inventato un espediente assai interessante per creare empatia nel visitatore.Il padiglione Cina
Insomma, un tripudio di forme, colori, odori, racconti, immagini, suggestioni, volti esotici.E' forte la sensazione di essere all'interno di un sistema in cui il visitatore deve essere attratto da tutto questo ed esercitare il meno possibile uno spirito critico, e probabilmente su 20 milioni di presenze previste in totale gli organizzatori riusciranno nell'intento. A guardare bene in questa vetrina globale molte osservazioni si potrebbero sollevare e ne faccio una su tutte, riguardante gli Emirati Arabi Uniti. Il padiglione è spettacolare col suo sinuoso sviluppare l'idea di dune del deserto. Direi che è la traduzione perfetta di questo gigante economico, in forme che concretizzano una ricchezza non solo immensa ma anche ostentata orgogliosamente. I petrodollari degli emiri si traducono all'interno in un cortometraggio di 15 minuti, protagoniste tre generazioni di donne. Il filmato è grandioso, all'interno di un minicinema multiaccessoriato e all'avanguardia, la storia suggestiva e appassionante, fatta di scenari mozzafiato e musiche coinvolgenti e bla bla bla. Il punto è che questo cortometraggio, in cui tre donne lottano per la salvaguardia di un albero di palma ripercorrendo la storia sofferta della loro famiglia, con tanto di viaggio nel deserto in cui il capofamiglia scompare e tutto resta sulle spalle di nonna e nipote, che ottengono la salvezza della povera pianta altrimenti destinata a essere abbattuta per fare spazio a grattacieli... è del tutto inappropriata, sa di finto, è irritante. Perchè appena esci dalla sala, frastornata da cotanta ministoria, vedi le donne vere degli Emirati chiuse da capo a piedi in abiti neri dai quali spunta appena un volto a occhi bassi. E' un mondo monopolizzato dal maschio leader, in cui la donna non può neanche mostrarsi in abiti normali o tenere una normale conversazione, un mondo ricco nel quale la donna è a totale servizio del proprio padre, del marito, di suo figlio maschio, con poche eccezioni, quelle di donne ricche alle quali si concede di creare fondazioni e tenere qualche discorso in pubblico. Voglio sperare che questa condizione cambi in forme di normalissima libertà, reale libertà, in cui ci sia spazio per l'autoaffermazione femminile e ottimisticamente dico che forse, forse, questo cortometraggio intende mettere in luce il fatto che anche se molto lentamente, la posizione delle donne emiratine sta cambiando. Concludendo, questo viaggio virtuale nel mondo globalizzato, nel quale poco o nulla si parla di alimentazione e risoluzione di problemi, è certamente un'esperienza da fare. Questa foto "racconta" la mia soddisfazione in merito :-). E il video che segue è carino. Grazie a coloro che mi avranno letta.