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Premessa interessante, curiosità per la riuscita complessiva: chi si piegherà a chi? Nel senso, sarà Sono ad accettare i topoi del genere, oppure sarà il j-horror ad essere contaminato dall’estro del regista?
Pensiamoci un po’ su.
La componente horrorifica ha spessissimo fatto capolino nelle opere del caro Sion, e non parliamo di storielle ectoplasmiche, ma di sangue: a fiumi, a secchiate (Suicide Club, 2002) e di carne: trafitta, maciullata (Cold Fish, 2010). È da tempo che ormai da questi parti si incensa il lavoro di Sono, e da ciò si è notato di come le sue incursioni nello splatter non sono altro che un accessorio ai temi maggiormente esposti. Un prezioso accessorio, direi.
Dunque, si può dire tutto e il contrario di tutto ma non che Sono sia un autore esclusivamente a tinte nere. D’altronde uno dei suoi meriti più evidenti è quello di far coabitare all’interno di una singola pellicola generi prossimi all’antitesi, e Love Exposure (2008) incarna perfettamente il concetto.
Con Ekusute (2007) accade che l’etichetta avanza sull’etica sononiana.
L’horror non è più un flash, non è più informazione collaterale, ma diventa il contenitore al cui interno si plasma la storia. Ed è un horror che strizza l’occhio a tutti quei film che parlano di yūrei, ossia di fantasmi vendicativi, di diaboliche presenze alle spalle e così via.
In questo caso è perciò la poetica di Sono che diventa flash, materiale subordinato agli eventi.
Non sarà sfuggito che comunque, nonostante l’opera defluisca all’interno di un modello preciso, si può rintracciare uno dei capisaldi del suo cinema: la distruzione dei ruoli famigliari.
Lo si intende dalla madre della bimba che non si comporta come una mamma dovrebbe fare, e dalla bimba stessa che chiama sua zia “sorella”.
Inoltre il villain è un feticista dei capelli, un pervertito come si sentirà urlare contro, e la devianza (tutti quegli incesti!) rintocca più volte nella filmografia dell’autore.
Insomma, aldilà dell’impronta, Sono sgomita parecchio per far capire che lui c’è sempre, ed è sempre un gran figlio di buona donna.
Ma queste sono sfumature, soprattutto a chi non interessa nulla del Sono come regista ed è attirato da una trama così bizzarra.
Se prima si è specificata l’attinenza al j-horror è anche vero che Exte sembra più che altro una rielaborazione divertita su tale categoria. Pensando al fatto che a dover inquietare (riuscendoci abbastanza) sono dei capelli, e che il cattivo di turno è un imbecille senza arte né parte, si comprende di come il frullato ringu-style sia costituito da ingredienti dosati con sapiente estromissione personale del regista, come a dire: non mi interessa poi granché di fare un film così, ad ogni modo lo faccio, ovviamente a modo io. E le modalità sono meritevoli dato che la visionarietà di Sono è inattaccabile, ed il risultato complessivo viaggia più che altro sul piano dell’intrattenimento, obiettivo prefissato e ampiamente raggiunto.
Per non spaccare il capello in quattro si può dire che Ekusute sia un tassello minore nella carriera di Sono, divertente ma non disarmante come saprà essere altrove.
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