Amanti dell’heavy metal, tappatevi le orecchie, magari saltate questo post e approfondite più sotto qualche aspetto del jazz se vi interessa. Meglio. Questo post è per i curiosi, forse per coloro che non conoscono il metal e desiderano avvicinarvisi con qualcosa di più soft. Forse, probabilmente, questo post non è nemmeno per chi come gli Afterhours non si esce vivi dagli anni ’80. Se non fate parte di queste categorie, allora defleppardatevi…
Anno zero della musica melodica dura, delle danze vocali sdolcinate e delle grida delle signorine in preda a panico da groupie post-datato. Tutto cominciò a Sheffield, con Joe Elliott che nel 1977 conobbe un certo Pete Willis, chitarrista degli Atomic Mass. Elliott venne selezionato dalla band con le più classiche delle audizioni, provò sia da chitarrista che da cantante. Per il primo ruolo rivedibile (si rifarà con il tempo…), per il secondo fece breccia: arruolato. Il talentino, all’epoca appena diciottenne, mise subito i piedi in testa ai nuovi compagni d’avventura, tutti più piccoli di lui di un anno. «Chiamiamoli Deaf Leopard», propose. I leopardi sordi? Ma noi non suoniamo punk. Def Leppard, così va bene.
Da quel momento Joe si prese i Def Leppard e iniziò a scrivere e scrivere, testi su testi, canzoni su canzoni. Lo stile, su quello i Def iniziarono con il pensarsi all’interno della New Wave of British Heavy Metal, ma presto caddero nel trappolone mediatico dell’Aor: Album Oriented Rock. In sintesi, band commerciali che non vogliono sentirsi definire commerciali. Tradotto ancora meglio: il rispetto degli standard radiofonici. E se con la musica non dicevano niente di nuovo, la buttarono sui trucchi e sulle creste.
Era il periodo in cui nasceva l’hair metal, e i Def Leppard compaiono tra i gruppi capostipiti del genere. Il mercato lo fanno sempre le fans, e Joe Elliott era uno dei più ricercati, grazie alla sua voce stridente, apparentemente stonata, forse volutamente sfumata, rauca. Dischi come Pyromania (1983) e Hysteria (1987) ne fecero uno dei simboli del metallo pesante che pesante non è. Poco dopo vennero i Bon Jovi, poi i Guns, ma i Def Leppard seguirono la loro strada. Elliott si creerà anche una sua immagine da solista, ed ebbe anche l’onore di partecipare al Freddie Mercury Tribute Concert.
La foto sopra raffigura la formazione all’apice del suo successo. Da sinistra, il chitarrista Steve Clark, il batterista Rick Allen, il cantante e leader Joe Elliott, il secondo chitarrista Phil Collen (che dal 1982 sostituì Pete Willis), il bassista Rick Savage. Oggi i Def Leppard sono gli stessi d’allora, tranne Steve Clark, morto nel 1991 e rimpiazzato da Vivian Campbell (chitarrista reso celebre per aver messo lo zampino in Holy Diver degli Dio).
Restano un pezzo da museo, girano ancora in tour internazionali che spesso per le ampie richieste che si trovano a dover fronteggiare, diventano quasi sempre tour mondiali. Così anche in Australia la notizia, sussurrata dal giornalista musicale Nui Te Koha, in breve si è propagata lo scorso anno in un tam tam mediatico-virtuale. Tutti chiedevano gli evergreen: «Così sono tornati! Speriamo di sentire tutti i classici degli album Pyromania e Hysteria, come Love Bites, Pour Some Sugar On Me, Hysteria e Rocket».
Non c’è molto altro da aggiungere, se non i riscontri che poi i Def avranno sulle scene. Anche perché, rifatti i trucchi, aggiustati i bigodini e scolato il rum per alzare i decibel di voce, non tutti saranno entusiasti delle loro performance. Nel 1996 uno degli ultimi album della band, Slang, produsse un tour mondiale dalle differenti visioni. Chi si esaltò, chi invece fece notare come i “Leppard maturi” avevano ormai perso l’antico smalto. Tuttavia, lo stesso album nella versione limited, porta con sé un secondo cd che comprende un Acoustic in Singapore, dove i Def Leppard ripropongono i loro brani più famosi esautorati dall’elettronica. Il risultato è di pregevole livello e di gran lunga superiore al disco stesso. Di seguito alcuni video dei brani di Slang. Fatevi un’idea.