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Eyes Wide Open

Creato il 06 febbraio 2012 da Elio

Eyes Wide OpenEYES WIDE OPEN (2009)
Regista: Hai Tabakman
Attori: Zohar Shtrauss, Ran Danker, Tinkerbell
Paese: Israele

Quella della critica al fondamentalismo religioso attraverso il cinema è una scelta non nuova nel panorama cinematografico israeliano. Appena due anni prima di “Eyes Wide Open” David Volach aveva scritto e diretto “My Father, My Lord”, pellicola inaspettatamente forte nel suo condannare simili chiusure religiose. Invero, anche questo esordio di Tabakman può collocarsi intorno allo stesso periodo, essendo stata, in seguito alle difficoltà nel trovare finanziamenti, la gestazione dello stesso più lunga del necessario. La causa di tali difficoltà è ovviamente da ricercare nel tema trattato. Il regista israeliano infatti non si limita a criticare gli haredim (“Coloro che tremano davanti alla parola di Dio” - fondamentalisti ebrei), che peraltro a Gerusalemme, città in cui è ambientata la pellicola, stanno affermandosi con una presenza e una forza sempre maggiore, ma lo fa attraverso una soluzione di sceneggiatura assai sensibile, perché fortemente contraria ai dogmi rigidi che dettano la vita all'interno delle comunità religiose ortodosse.
Aaron gestisce e lavora all'interno della macelleria lasciatagli dal padre, venuto a mancare di recente. È un uomo stimato all'interno della comunità, tanto da essere un riferimento all'interno della stessa e avere ruoli primari durante i momenti di studio e preghiera. Ha una famiglia e più in generale tutto ciò che appare giusto e onesto all'interno della comunità.Ezri è invece un giovane studente in cerca, o almeno così pare, di una yeshiva (centro di studi sui testi dell'ebraismo ortodosso). Non ha un lavoro, né un posto in cui stare. L'unico appoggio lì a Gerusalemme viene meno, e quando entra nella macelleria di Aaron, quest'ultimo, dopo qualche incertezza, gli offre un lavoro.
Eyes Wide Open
Al contrario di come potrebbe sembrare inizialmente, ma anche per gran parte del film, quanto raccontato non si esaurisce nella storia omosessuale tra Aaron e Ezri, è anzi, la stessa, un pretesto come un altro per ritrarre il volto estremista al quale si rivolge Tabakman. Il regista delinea e affronta i due protagonisti in una maniera tale che non si potrebbe neanche definirli tali, essendo Aaron la personalità di gran lunga preponderante all'interno della pellicola. E neanche Aaron in quanto tale, ma Aaron come esempio perfetto della condotta e morale e sociale all'interno della comunità. Ezri, al contrario, non viene mai approfondito del tutto, quasi in realtà non viene approfondito per nulla. Non è tanto un ragazzo che si è trasferito a Gerusalemme alle prese, anch'egli, con regole inconciliabili con la sua natura, quanto colui che porta Aaron a mettere in discussione le regole alle quali ha lasciato dettare la sua vita fino a quel momento. Non è un caso che di lui non si sappia nulla, che la pellicola non cerchi neanche lontanamente di individuare la sua struttura emozionale, un passato che giustifichi il suo presente. Prega, studia, rispetta i rituali religiosi, ma non mostra remora alcuna quando vuole avvicinarsi sessualmente ad un uomo; non appare combattuto quanto Aaron, al contrario è lui a provocare in maniera anche sfacciata. Non è quindi che un mezzo, Ezri, attraverso cui Tabakman cerca di sfiancare l'autocontrollo di Aaron, che rappresenta a sua volta la rigidità del fondamentalismo al quale appartiene. In quest'ottica il loro rapporto omosessuale è solo il campo in cui si scontrano la vita e la morte emozionali di un haredim – “Ero morto. Adesso sono vivo”; la prima figlia di istintiva umanità, la seconda di autoimposizioni preconfezionate. Ogni parentesi più prettamente sessuale è dominata da sospiri che più che reazioni alla vicinanza fisica appaiono come boccate d'ossigeno che seguono lunghi periodi di apnea.
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Parallela a quanto accade, seppur sollo sfondo, la storia di altri due giovani che si amano nel peccato, perché dei due la ragazza era già stata promessa in sposa ad un haredim. La reazione della comunità è dura, fino a divenire violenta. Non è che un'altra minaccia alla purezza, o presunta tale, seppur dai connotati differenti. È un pretesto, come lo è la storia principale, per descrivere e denunciare dinamiche assai pericolose, tanto da delineare veri e propri fanatici capaci, in quanto tali, di reazioni esagerate e al limite del ridicolo (si veda la visita alla macelleria di coloro che sembrano essersi arrogati il diritto di far rispettare le regole). È proprio questo, tuttavia, ad essere al tempo stesso un limite. Tabakman si concentra sulla denuncia attraverso la finzione, ma quasi dimentica del tutto quest'ultima. “Eyes Wide Open” appare infatti per molti versi asettico, nonostante lo stile proposto dall'israeliano sia senza dubbio alcuno cinematografico. La regia, nel suo essere calibrata, non manca di mostrare eleganza e ricercatezza, così come la fotografia di valorizzare le ambientazioni. Si vedano, a tal proposito, le luci che illuminano la stradina in cui è situata la macelleria: la rendono suggestiva esaltandone gli spazi ristretti, che a loro volta richiamano la sensazione di chiusura della comunità. A non venir valorizzato in egual modo è però proprio l'aspetto più intimo dei due protagonisti, che divengono sì metafora, come si scriveva, di un dinamica particolare, ma che tali restano. Si avvertono solo in parte la loro visceralità, la loro sofferenza e i loro conflitti; si distinguono chiaramente sullo schermo, ma non riescono ad andare oltre. E se da una parte è lo sguardo registico a trasmettere l'asepsi emozionale di cui si sta parlando, non inquadrando con convinzione l'umanità di Aaron, dall'altra è forse una sceneggiatura leggermente debole quando viene chiamata a costruire gli snodi principali del racconto. 
Eyes Wide Open
Risulta quindi poco coinvolgente, l'esordio di Tabakman, in più di un passaggio. Quello che invece, però, risulta senza dubbio riuscito è l'altro volto della pellicola, perché forte e percettibilmente sentito nel rivolgersi ad una realtà, quella del fondamentalismo religioso, con uno sguardo non solo critico ma, stando al finale, anche in parte allarmato e allarmante.

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