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Eziologia del protagonismo

Creato il 08 aprile 2011 da Ilgrandemarziano
Eziologia del protagonismoIl mondo dell'arte si divide in due parti. Chi crea l'opera e chi ne usufruisce. È più che una condizione di complementarietà, è l'equivalente culturale di una simbiosi. Ognuno dei due soggetti trae ragione d'essere dall'esistenza dell'altro. E gli artisti che se ne vanno in giro a dire che lo fanno per se stessi, mentono, anche non è detto che lo facciano consapevolmente. Questo vale in generale per tutte le forme espressive della creatività, anche se ce ne sono alcune che, per loro natura, presuppongono maggiormente di altre la presenza della controparte spettatoriale. Penso, ad esempio, a un musicista o a un regista, rispetto a un poeta o a uno scrittore. Ma in linea di principio, quello che ho detto vale anche per questi ultimi. Che senso ha scrivere un romanzo e chiuderlo a chiave in un cassetto? Perché si dovrebbe comporre una canzone per non farla mai sentire a nessuno? Naturalmente qui l'aspetto commerciale o la vastità del pubblico non hanno alcuna rilevanza. Se si parlasse di un cantante potrebbe essere un concerto nella saletta dell'Oratorio della Parrocchia di Sant'Eustachio, come pure alla Royal Albert Hall di Londra, e se fosse uno scrittore i lettori potrebbero essere dieci tra amici e parenti (pseudo)volontari, come pure venti milioni sparsi in trenta paesi del mondo.
Eziologia del protagonismoIl punto è che oggi una delle due categorie sembra avviata verso l'estinzione, in fase di trasferimento dall'altra parte del confine creativo, o meglio ancora in via di smarrimento dei suoi connotati di valore, funzionali e, soprattutto, emotivi. In altre parole, essere spettatori per molti non vuol più dire alcunché. Se sei uno spettatore in fin dei conti sei un fallito, perdi il tuo tempo, sei solo una fiammella in mezzo a trentamila, un lettore tra migliaia. Non sei nessuno. Non servi a niente. La mediatizzazione della realtà ha fatto sì che siano viste come degne di essere vissute (per lo meno dalle giovani generazioni) solo le vite amplificate dal protagonismo, e la televisione non fa altro che alimentare sempre più la mitologia del successo, attraverso l'illusione dei talent-show, ma anche i paradossi dei non-talent-show. Così, pesantemente correa anche l'informatizzazione, che ha contribuito a distribuire in maniera capillare pericolosissime armi di creazione di massa chiamate OpenOffice, PhotoShop, GarageBand ecc., ma anche You Tube, MySpace, Lulu ecc., tutti nel giro di pochi anni si sono ritrovati nella troppo facile condizione di potersi infilare negli strettissimi panni dell'artista a caccia di immortalità e bombardare il mondo con le peggiori porcate.
Eziologia del protagonismoQuanti potenziali scrittori avremmo in giro oggi, se ancora si dovesse - non dico scrivere a mano a lume di candela - ma anche soltanto picchiare sui tasti di una vecchia Olivetti Lettera 22? Quanti pittori, se bisognasse ancora dotarsi di cavalletto, tela e pennelli? Quanti cantanti, se non ci fosse stato il karaoke, la De Filippi e X-Factor? Per questo ho la spiacevole impressione che, per lo meno nelle nuove generazioni, si stia correndo il rischio della perdita del gusto e del valore di essere (solo) spettatori, lettori, contemplatori, in quanto recettori di un messaggio, elaboratori di un'idea, risuonatori di un'emozione, non solo dunque semplici partecipi del medesimo processo creativo originale, bensì protagonisti autentici del suo scopo finale. E nei confronti dell'artista, quello vero, sul palco o dietro un leggio, temo si sentano più che altro serpeggiare l'invidia e la gelosia, quando invece ci dovrebbe essere solo e soltanto riconoscenza.

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