11 settembre 2013 – Ronnie Peterson era un uomo vero. Un volto da cinema che celava un pilota dalla guida spettacolare fatta di traversi, virgole in uscita curva e tanto show. Un idolo delle folle in quanto era considerato il più forte pilota in circolazione che se ne andò in un pomeriggio monzese di metà settembre, in uno degli incidenti più controversi e misteriosi della storia.
Quel maledetto week-end a Monza, pista che amava e dove vinse 3 volte, la sua Wing Car la Lotus 79 è carica di problemi. Mentre Andretti stampa la pole, Peterson è solo quinto e deve correre con la vecchia e lenta Lotus 78, adibita a muletto, perchè la sua 79 ufficiale è stata irreparabilmente danneggiata in un incidente nel warm – up. Fu un meccanico a sbagliare lo spurgo dei freni, e Peterson andò contro le gomme alla prima variante.
Al via la variante Good-Year (oggi prima variante) diventa improvvisamente un inferno. La Lotus di Peterson picchia contro il guard rail alla sua destra, rimbalza, schianta contro il rail dalla parte opposta per poi fermare la sua folle corse a centro pista. Nell’incidente rimangono coinvolte le vetture di: Hunt, Patrese, Brambilla, Pironi, Stuck, Reutmann, Daly e Depailler. In un primo momento il più grave era Brambilla, praticamente già in coma perchè colpito alla testa da una ruota della Lotus di Peterson. Ronnie viene estratto dalla vettura in fiamme da Hunt e Merzario (fermatosi appositamente) con le gambe massacrate ma è cosciente. Sid Witkins, medico ufficiale della Formula 1 già allora, arriva sul luogo dell’incidente quando, ormai, Peterson è già al centro medico. La versione ufficiale dice che Witkins è stato ostacolato dalla polizia che fece cordone intorno al luogo dell’incidente per evitare che tifosi e giornalisti entrassero in pista. I video non mostrano un Sid Witkins con l’aria di chi si è appena dimenato nella calca. Clay Regazzoni è furioso, e a momenti viene alle mani con Bernie Ecclestone quando le dice: “Bernie di M… dov’è il medico che paghiamo 3000 dollari a gara??”. Autosprint riporterà che era al Bar a bere un caffè.
Venne mandato alla gogna subito Patrese che venne squalificato per una gara. Successivamente fu scagionato il padovano e accusato Hunt che entrò in collisione con Peterson mandandolo contro il rail. Ma il principale responsabile dell’incidente è il direttore di gara che diede il semaforo verde nonostante, nel fondo della griglia, ci fossero ancora tante vetture non ancora allineate. Così facendo, metà vetture partirono da ferme e l’altra metà no. La larghezza del tracciato monzese favorì l’apertura a ventaglio dei concorrenti, che si trovarono poi costretti a rientrare quando entrarono nell’imbuto della prima variante.
Trovare risposte a domande che intanto mai e poi mai potranno riportare Ronnie Peterson, pare inutile. Ronnie Peterson è morto facendo ciò che amava, correre. Per fare questo mestiere, da figlio di fornaio che era, ha fatto il meccanico e il tecnico di ascensori. E’ stato sposato con Barbro, unica donna della sua vita, dalla quale ebbe una figlia, Tina. Una vita semplice, da grande uomo. Sugli spalti della Parabolica, un giovane milanese di 22 anni, vide la scena del terribile incidente. Quel milanese si chiamava Michele Alboreto. Bello pensare che Michele prese in eredità, oltre ai colori del casco, anche la gentilezza, la spontaneità e la dolcezza di Peterson.
Ronnie Peterson un giorno disse: “Per mantenere il mio equilibrio mi occorre andar forte, mi è necessario portare sempre la vettura al limite. Se rallento appena un poco comincio a commettere alcuni errori, quindi sono in una situazione migliore quando spingo a fondo“, e Gilles Villeneuve, qualche anno dopo il decesso, disse: “La gente vuole piloti che escono di curva spazzolando come faceva Ronnie Peterson!“. Sarebbero, forse, bastate queste due frasi per ricordare Ronnie Peterson, ma a noi piace anche ricordarlo come il più grande re senza corona della storia della Formula 1.
F1 | 35 anni fa la morte di Ronnie PetersonF1Sport.it - F1 Formula 1 F1 Tecnica F1 News Team Analisi