Alessandria, 13 giugno 2013 – “Mi piacciono i soldi e le donne, sono convinto che con la Formula 1 ci si possa levare questi sfizi”, così diceva Riccardo Paletti giovane promessa dell’automobilismo italiano di fine anni ’70 quando arrivò in Formula 1.
Riccardo Paletti nacque a Milano il 15 giugno 1958, era figlio di un’industriale che aveva fatto su una fortuna importando e commercializzando impianti audio per automobili e aveva praticato vari sport dal karate allo sci, anche con ottimi risultati.
Era snello, occhialuto ma anche schietto quanto basta per far capire a tutti, che quello che faceva, lo faceva non per partecipare, ma per vincere.
Come già capitato a molti (compreso il sottoscritto) la passione per le corse arriva di colpo, senza preavviso, come un vero e proprio colpo di fulmine; Paletti è in Olanda insieme alla famiglia, in viaggio per lavoro e decidono di andare a vedere insieme il Gran Premio di Formula 1 del 1974. Di fronte alla doppietta Ferrari, il futuro pilota si innamora del mondo delle corse.
Inizia con la Formula SuperFord, poi salta Formula 3 con risultati scarsi, ma è la Formula 2 dove il giovane Paletti si esalta e vi debutta nel 1979 a Misano Adriatico.
A metà 1980 viene chiamato a sostituire Johnny Ceccotto, approdato alla Minardi, al team di Micheal Earle e i buoni risultati di fine stagione gli valgono la riconferma per il 1981 e dopo un inizio di stagione esaltante se la deve vedere con una macchina piena di problemi e molto indietro rispetto agli avversari ma riesce comunque a strappare qualche podio.
A fine stagione il padre gli finanzia una stagione in Formula 1 nel team di Enzo Osella, uno che per intenderci puoi pagare quanto vuoi ma se non sei capace un volante non te lo da, per il 1982.
“Il mio obbiettivo è qualificarmi per il maggior numero di gare e fare esperienza” dichiarò Riccardo paletti a inizio campionato ma la Osella FA1\C non è di sicuro la macchina migliore per qualificarsi in un gran premio di Formula 1.
La vettura ha seri problemi strutturali, è fragile, lenta, pericolosa anche a tal punto da essere vista come “quella che perde le ruote” e se poco può farci uno come Jean-Pierre Jarier (4° a Imola nella gara boicottata dai team inglesi) figuriamoci cosa ne può Riccardo Paletti che marca solo dei gran NQ (non qualificato) nella sua tabella di marcia tranne che a Imola e proprio, purtroppo, in Canada.
Quel giorno la Formula 1 e il Canada sembrano congiungersi per piangere insieme la scomparsa, avvenuta poche settimane prima, di Gilles Villeneuve a Zolder e proprio contro l’unica Ferrari al via (quella di Didier Pironi) troverà la sua fine.La Ferrari numero 28 di Pironi in pole si spegne sulla griglia, il francese si sbraccia per farsi vedere ma i commissari, non curanti, danno il via e Riccardo Paletti partito ultimo e con la vista chiusa dagli altri concorrenti non può fare a meno di colpirla.
L’urto è violentissimo la Osella va in fiamme poco dopo ma al giovane talento italiano saranno fatali le ferite riportate dopo l’urto, il tutto davanti agli occhi in tribuna della mamma accorsa per festeggiare, 2 giorni dopo, il compleanno del figlio; se ne va così un talento cristallino dell’automobilismo italiano uno di quelli che avrebbe potuto diventare qualcuno e che invece è rimasto un sogno infranto.
Dopo l’incidente fatale a Gilles Villeneuve a Zolder, Riccardo Paletti disse: “Se morirò io mi dedicheranno solo un trafiletto”.
Parole amare di chi era ben conscio che già da allora esistevano, fuori dalla pista, piloti e “pilotini” e che magari ansimava per entrare anche lui in quella cerchia ristretta.
Oggi a distanza di 31 anni vorremmo dire che Riccardo Paletti è ancora ben ricordato da chi ama il motorsport e, magari potessimo, dirle che quel sabato pomeriggio a Zolder si sbagliava.
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