28 febbraio 2015 – Parlare di Mario Andretti è parlare di tante cose, un capostipite, un uomo innamorato della Ferrari ma che ha fatto vincere la Lotus, un eroe dei due mondi, un allevatore di campioni, il creatore di una famiglia e di un team di successo. Ebbene, quest’uomo oggi compie 75 anni e a lui è dedicato il ritratto numero 39 dei personaggi che hanno fatto la storia della Formula 1.
Sin da ragazzo si interessa e si appassiona al mondo delle corse, sin da quando andava a seguire la Mille Miglia. Poi le strade dell’emigrazione lo portarono in America, dove inizierà la sua carriera agonistica. Passa con facilità dalle ruote coperte a quelle scoperte e vincerà un po’ dappertutto, aggiudicandosi per ben 3 volte la 12 Ore di Sebring e, in NASCAR, la 500 Miglia di Daytona. Mario è un animale da corsa, uno che quando scende in pista sa molto bene il fatto suo, rubando per così dire il mestiere al fratello, riuscendo a vincere un po’ dappertutto.E che lui fosse una specie di predestinato lo si capì da subito, quando esordì in Formula 1, dove ottenne la pole position all’esordio, nel Gran Premio di casa del 1968. Tra l’altro a tenerlo sotto osservazione fu nientemeno che Colin Chapman, che in quell’anno ebbe in squadra Jim Clark e Graham Hill, che vincerà proprio in quell’anno il titolo. Non solo, riuscirà persino a vincere un’altra 500 Miglia, ma questa volta molto più prestigiosa, quella di Indianapolis. Pochi anni dopo, le sue prestazioni non restano certo inosservate al Commendatore ed eccolo in Ferrari, vettura con cui centra subito la prima vittoria e il primo giro più veloce. Mario si impegna contemporaneamente anche con le vetture Sport dove vincerà 4 gare, dimostrando tutta la sua completezza e solidità.
Dopo un anno sabbatico, il 1973, dove decide comunque di rimanere impegnato in quella che di fatto è diventata la sua patria, correndo nelle gare su sterrato, torna in Formula 1 con la scommessa tutta americana della Parnelli, team che si era distinto in IndyCar, portandosi dietro anche l’ingegnere della Lotus Maurice Philippe (la vettura riprenderà molto l’intramontabile Lotus 72) e tentando di sviluppare una versione turbo del motore Cosworth DFV (sarà la base del DFX, che vincerà anche in IndyCar), ma ebbe poca fortuna, anche nel 1975 dove corse la stagione completa e nel 1976; gare condizionate da molti ritiri e pochi arrivi a punti.
Decide così di tornare alla Lotus nel corso del 1976 dove, nonostante la vetustà del progetto 72, sarà in grado di farla tornare ai vertici, portandola in testa al gruppo nella gara che regalerà il titolo a James Hunt, al Fuji, conquistando sia la pole position che la vittoria. Questo sarà il viatico per il nuovo mostro ideato da Colin Chapman, la Lotus 78, con cui Andretti (che sarà impegnato full-time in Formula 1 e sarà coadiuvato da Gunnar Nilsson) vincerà ben 4 gare e conquisterà 7 pole position e 4 giri veloci, chiudendo dietro a Lauda e Scheckter.
Ma la vera arma totale di Chapman sarà la Lotus 79, con cui Andretti darà l’assalto al titolo nel 1978. Però dovrà fare i conti con un compagno di squadra molto scomodo e velocissimo, Ronnie Peterson. Il suo contratto con la Lotus lo relegherà al ruolo di seconda guida dietro ad Andretti, ma a ben vedere qual è stato l’andamento della stagione in pista così non sarà. I due infatti daranno vita a un duello fratricida vero e proprio, nonostante lo svedese avesse in mano già un contratto con la McLaren, fa di tutto per rendere la vita difficile a “Piedone”, in alcuni casi riuscendoci anche. Molti osservatori, infatti, diranno che sarebbe stato Peterson a meritare il titolo, ma anche la sorte non fu amica con lo svedese. Si arriva infatti a Monza, dove al via della gara la non perfetta procedura di partenza fu tra le cause di un incidente che coinvolse tra le altre la Lotus dello svedese, partito male a causa di problemi nel corso del warm-up, che si incendierà. Voleranno parole grosse, soprattutto tra Hunt e Patrese, con l’inglese che accuserà l’italiano di aver innescato l’incidente. Ma poche ore dopo non sarà più il tempo delle parole; Peterson infatti morirà in ospedale per cause ancora poco chiare. La matematica cinica consegna in questa gara il titolo ad Andretti, ma la gara deve andare avanti e ci sarà un altro colpo di scena. Alla ripartenza, infatti, lui e Villeneuve partiranno anticipatamente (anche in questo caso ci fu un leggero errore dello starter nel dare il semaforo verde) e verranno penalizzati, togliendo così la vittoria al pilota della Lotus e consegnandola a Niki Lauda.Piedone corona così la sua carriera con il titolo nella massima categoria velocistica mondiale, affiancandola alla 500 Miglia di Indianapolis e alla 500 Miglia di Daytona, dimostrando la sua completezza anche nelle gare di durata, cimentandosi con ottimi risultati in tutte le gare più importanti del mondo, con un solo neo: il Gran Premio di Montecarlo. Gara che tenterà di vincere anche nelle stagioni successive, ma senza fortuna. Piedone ha infatti ballato per una sola stagione, quella del 1978, e poi ha dovuto arrendersi l’anno successivo alle imprendibili Ferrari 312T4 di Scheckter e Villeneuve.
Proprio alla scuderia di Maranello farà il suo ritorno nella stagione più tragica, segnata dalla morte di Gilles Villeneuve e dal grave infortunio a Didier Pironi dando ancora una volta prova della sua innata classe sul circuito di Monza, dove partirà in pole position e finirà sul podio, nella gara dei 3 ferraristi, nel tentativo di aiutare Patrick Tambay a portare a casa il titolo, che però non riuscirà, anche perchè a Long Beach, sulla pista di casa, entrambi i ferraristi dovranno alzare bandiera bianca e lasciare il titolo nelle mani di Keke Rosberg. Piedone così saluta per sempre la Formula 1 da pilota, prendendosi poi un altro ruolo, quello di papà-allenatore al figlio Michael, che crescerà all’ombra di Ayrton Senna in McLaren, con tutt’altri risultati, tant’è che verrà sostituito da Mika Hakkinen.
Piedone, invece, continuerà a mietere successi in America, aggiudicandosi il campionato USAC nel 1984 e continuando a correre in questa formula con il team Newman-Haas fino al 1994, l’anno in cui cederà il testimone al figlio Michael. I due però non hanno certo abbandonato l’ambizione corsaiola, visto che insieme hanno fondato un team, la Andretti Autosport, con cui si arriva alla terza generazione degli italoamericani da corsa. Marco, infatti, correrà in questo team e nel 2006 assaggerà anche un pizzico di Formula 1 con un test sulla Honda; insieme a lui ci saranno altri campioni che si sono distinti nella categoria; uno su tutti Ryan Hunter-Reay, vincitore del titolo nel 2012, oltre a James Hinchcliffe e Danica Patrick. Mario dal canto suo continuerà a correre nelle gare di durata, partecipando anche alla 24 Ore di Le Mans in cui arriverà secondo assoluto nel 1995.Il merito di Mario Andretti, però, è stato quello di riportare gli Stati Uniti ad amare la Formula 1, sposando il progetto del circuito di Austin, che dal 2012 sta riportando l’attenzione del pubblico a stelle e strisce verso la Formula 1. e proprio in questa edizione inaugurale, Piedone Mario Andretti si è rimesso al volante della Lotus 79, quella che gli ha consegnato il titolo.
75 anni, dunque, vissuti sempre in prima linea, grazie anche alla sua famiglia di piloti (oltre a Michael e Marco, ci sono l’altro figlio Jeff e il nipote John) e a una passione che si trasmette di generazione in generazione e che non smetterà mai di scorrere nelle vene di questi italiani d’america. Happy birthday, Bigfoot!
F1 Ritratti: i 75 anni di Mario Piedone AndrettiF1Sport.it - F1 Formula 1 F1 Tecnica F1 News Team Analisi