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Avevo una strana paura che Fabrizio Barca, intervistato ieri ad Otto e mezzo, potesse deludermi. Perché non trovo oggi altri punti di riferimento credibili nel PD e nella sinistra. Per fortuna no, non mi ha deluso. I più annotano il suo consenso, del tutto impopolare, alle tesi del "boiardo" Moretti in difesa della propria super-retribuzione. Ma Barca ha semplicemente tentato di porre argine agli umori "populistici" che credono di salvare l'Italia "punendo" solo chi è variamente retribuito dal pubblico. La stessa diffusa opinione che nulla obietta contro gli stipendi non inferiori dei divi della TV e quelli 5 volte superiori dei campioni della pedata. Io credo che l'obiettivo di Olivetti (e quello "maoista") sposato a suo tempo da Renzi "nessuno più di 10 volte il meno pagato" sia sempre corretto. A dispetto del mercato. E credo che una Italia coraggiosa dovrebbe perseguirlo. Anche potendo dimostrare ai bulimici di denaro che vivere nella nuova Italia varrà più che accumulare seconde e terze case e ricchezze non spendibili. Questo dovrà valere per le retribuzioni pubbliche e private. Diversamente si introducono veleni culturali che mortificano la dimensione pubblica, assunta come parassitaria. Barca insomma ha invitato solo ad essere coerenti. Ha descritto poi una classe dirigente divisa fra una minoranza che "teme che Renzi non ce la faccia" e una maggioranza che "teme che ce la faccia". Lui, Barca, è fra quelli che teme che Renzi non ce la faccia ad attuare l'indispensabile "riformismo borghese" (semplificazioni, competitività, etc.). Perché Renzi forse non ha il coraggio o la possibilità di attuare gli strumenti giusti. Fra questi la patrimoniale da 400 miliardi di cui Barca diceva nella conversazione con il finto Vendola e che Barca non ha sconfessato. Infine il suo lavoro sui "Luoghi idea(li)" per tentare di promuovere un partito non leaderista ma fondato sulla intelligenza collettiva. "Perché non ha sfidato Renzi alle primarie"? "Perché sarei apparso il campione della conservazione". E Barca non lo è.
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