[Facciamoci del male] Numero tredici. Le primarie del centrosinistra.

Creato il 26 novembre 2012 da Subarralliccu @subarralliccu
26 novembre 2012 · by Mirko Madau · in Facciamoci del Male. ·

A circa dodici ore dalla chiusura dei seggi, il risultato del primo turno delle primarie del centrosinistra non era ancora ufficiale.
A parte questo, i risultati ufficiosi ci dicono qualcos’altro?

1 – Le regole non hanno scoraggiato la partecipazione.
Ci si attesta sul livello d’affluenza delle primarie del solo Pd per eleggere il segretario nel 2009, il calo è quindi evidente, ma  gli oltre tre milioni di votanti, in tempi di forte antipolitica, non autorizzano connessioni azzardate fra questo calo e la presunta farraginosità delle regole (senza contare che non si può escludere che già nel 2009 furono molti gli elettori, per esempio, di SeL che comunque decisero di partecipare alle primarie, aperte, del Pd).

2 – La vittoria di Bersani va oltre il 45 per cento circa assegnatogli dal conteggio finale.
Poteva essere l’unico candidato del Pd, lo dicevano le regole del partito, e si è messo in gioco permettendo a Renzi di sfidarlo. Ha voluto il ballottaggio per garantire che il vincitore avesse una degna legittimazione popolare (senza questa scelta oggi avremmo già il vincitore e sarebbe lui, ma sarebbe un vincitore dimezzato). Partiva dalla posizione di svantaggio di chi in questi mesi si è sporcato le mani appoggiando non senza fatica e contraddizioni il governo Monti. Ha gestito una campagna elettorale complicata da leader che cerca di mettere insieme i pezzi di una coalizione abbastanza sgangherata, senza mai cedere allo scontro duro con quelli che poi saranno i suoi alleati, a partire da Renzi. Inoltre, la candidatura di Vendola ha sicuramente tolto più a lui che al suo principale sfidante.

3 – La sconfitta di Renzi va oltre il 35 per cento circa assegnatogli dal conteggio finale.
Per le esatte e contrarie ragioni per cui la vittoria di Bersani vale di più. E perché ancora una volta, alla prova dei fatti, la furia rottamatrice che recrimina la mancanza di spazi e possibiltà per i giovani, di idee e d’anagrafe, si scontra con un verdetto popolare che al “nuovo” preferisce il “vecchio”.
Inoltre, questa campagna elettorale ha evidenziato il suo scarso coraggio, perché pur non avendo granché da perdere (in fondo era lo sfidante), si è ben guardato dal mettere al centro del dibattito questioni elettoralmente a rischio, ma fondamentali per chi si presenta come innovatore del centrosinistra. La questione del rapporto incestuoso e deleterio fra il Pd e sindacati, in particolare fra il Pd e la Cgil, non è mai stata sfiorata, forse perché attaccare su questo punto mette a rischio qualche voto (ne sa qualcosa D’Alema): ma allora cosa c’è di innovativo? Dietro il rottamatore (poco o) niente.

4Di fronte a candidati forti del Pd, per gli altri lo spazio di manovra è pressoché nullo.
Nichi Vendola non ripete l’exploit di Massimo Zedda a Cagliari e Giuliano Pisapia a Milano perché il dibattito interno al Pd fra Renzi e Bersani oscura completamente, anche da un punto di vista mediatico ma non solo, il senso di una proposta più radicale, più di sinistra. L’unica arma in mano a Vendola, quella dei diritti civili, si dimostra ancora una volta spuntata, come già in passato ai tempi della candidatura di Ignazio Marino. Anche questo è un aspetto su cui riflettere: è forse il momento di interrogarsi non più e non solo sulle incertezze del centrosinistra su questi temi, quanto sull’attenzione di cui godono presso l’elettorato di centrosinistra.

5 – Le candidature di nicchia non servono a niente.
Al netto delle capacità individuali – soprattutto per quanto riguarda Tabacci – le candidature “ad nicchiam” ricevono risultati impalpabili. Stavolta è toccato a Tabacci e alla Puppato raccogliere le briciole, nel 2005 a Scalfarotto andò pure peggio.

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