Magazine Cultura
Privarmi del piacere di essere aggiornata sulle prime pappe del figlio di uno con cui ho scambiato due parole ad una festa nel capodanno del 2008. Impedirmi di lurkare nei party di compagni di sbronze dei vent'anni, che continuano a fare le stesse feste dei vent'anni. Evitare di moltiplicare per trecento il fastidioso ticchettio dell'orologio socio-biologico, senza avere nulla di meglio da offrire alla mia ansiosa platea che qualche fotografia del mercatino natalizio di St.Catherine.
Basta, mi sono detta, questa competizione planetaria mi sta uccidendo. Questo mondo virtuale mi sta trascinando ancora più lontana dalla vita reale, con la quale già ho i miei problemi a rimanere in contatto. Più birre e meno chat. Più telefonate e meno browsing. Più abbracci e meno post. Recuperiamo i sani valori di una volta.
Tra l'altro Zuckerberg offre la generosa possibilità di disattivare l'account senza perdere nulla, per poi poterlo riattivare una volta scomparse le paturnie esistenziali. Per cui "cancellarsi" da Facebook poteva essere una di quelle comode scelte reversibili che tanto ci piacciono oggigiorno. La sa lunga, il ragazzo.
Però. Prima di premere "de-activate" mi sono resa conto che sarei andata incontro a diversi inconvenienti.
Il primo di ordine pratico. Con una mossa masochistica mi sarei automaticamente esclusa da tutta una serie di feste, eventi e update mondani che un po' alleggeriscono il fardello quotidiano, e i cui organizzatori non si sarebbero certo premurati di venirmi a cercare per comunicarmeli, non fossi nel comodo servizio di messaggistica FB. Va bene mettere alla prova quanto le persone ci tengono a te, ma insomma.
Secondo, a livello ludico-culturale. Ho un sacco di amici intelligenti che postano link e articoli oggettivamente interessanti. Ho anche un sacco di amici spiritosi che postano link buffi che ti fanno ridere quando sei un po' giù. E dalla caverna del mio eremitaggio informatico, mi sarei dovuta andare a cercare tutti i link da sola.
Terzo, non riesco a dimenticare la gioiosa emozione di quando, nel lontano 2007, aprii l'account e mi saltò fuori la foto dei piedi con le All Star del mio migliore amico, che da qualche tempo viveva in Inghilterra e di cui non avevo notizie da un po'. Averlo a portata di chat e vedere le foto della sua vita mi pareva un progresso immenso, in questi tempi di emigrazione professionale trans-continentale.
Conclusione. Non se ne fa nulla. Togliersi da Facebook è come decurtare una parte della propria vita sociale, soprattutto di emigrante trans-continentale. E' come tagliarsi fuori dal discorso culturale dei nostri tempi. E' privarsi di un mezzo di espressione che a volte serve. Ad esempio per promuovere presso il grande pubblico quei mini-capolavori di letteratura pop che sono i post di questo blog.
Un cambiamento si può sempre fare, mi sono detta, nel modo di usare FB. Magari smettendola di cliccarci sopra ogni volta che faccio una pausa al lavoro, come se ci dovessi trovare il tesoro nascosto dei pirati. Magari togliendo gli update dal telefonino, dedicando all'infernale social network un tempo un po' più circoscritto durante la giornata. E' vero, you don't need to know in ogni istante quello che fanno i tuoi trecento e passa contatti della loro vita, soprattutto se non li senti da decenni e non hai niente a che fare con loro. You don't need to know cosa fanno ex fidanzati et similia.
Quello che you need to know è cosa ti rende felice, e quale status update saresti orgoglioso di postare sulla personalissima bacheca del tuo cuore.
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