Fai bei sogni di Massimo Gramellini ha il pregio di saper descrivere il dolore attraverso gli occhi di un bambino, un romanzo semplice, scritto col cuore, senza l’uso di paroloni e eccessive spiegazioni. Scritto da un uomo che non ha lasciato andare, o almeno non ancora, tutte le paure che lo accompagnano dall’infanzia. Il successo del libro è probabilmente dovuto alla sua totale onestà e autoironia, tipica di Massimo Gramellini, che riesce ad alleggerire situazioni drammatiche e ricordi scomodi.
Perdere la mamma è un trauma, sempre, non credo ci sia un’età immune da questo fatto, ma perderla quando ancora dobbiamo imparare ad allacciarci le scarpe è un dolore indescrivibile. Una ferita difficile da affrontare e chiudere, un male che nel tempo rischia di diventare ingovernabile, trascinato dai sensi di colpa e dalla fantasia di un bambino.
Perderla e vivere nel non sapere è forse il modo più comune scelto dagli adulti che rallentano il loro processo della verità per posticipare spiegazioni irreali a chi merita di sapere tutto, sempre, i figli.
Massimo scrive il romanzo della sua infanzia e dell’uomo che è diventato grazie, o per colpa di quell’infanzia, ma solo quando fa leggere il manoscritto a Madrina, amica storica di famiglia, scopre di non sapere la verità riguardo a sua madre, ammalata terminale di cancro, il Brutto Male. Una verità scomoda, difficile, talmente incomprensibile che viene svelata a Massimo in età adulta, quasi per sbaglio, con il stupore di chi era convinta che sapesse.
Unica nota negativa del romanzo, a mio parere, è l’eccesso di luoghi comuni, frasi scontate, e la sensazione di un già letto, già affrontato, anche se ogni vita è unica, e probabilmente è questa sua unicità assieme alla bravura e l’onestà dell’autore ad averne determinato tanto successo.
Massimo Gramellini
Longanesi