In caso di fallimento banche gli Stati non interverranno per il loro salvataggio. Rischiano azionisti, obbligazionisti e depositanti
In sostanza, in caso di fallimento banche, non saranno più gli Stati a doversi accollare il costo del loro salvataggio. Le recenti iniziative di aiuto statale hanno prodotto, sia il peggioramento dei conti pubblici di
molti Paesi europei trascinati al collasso finanziario (vedi Cipro) sia le solite stangate per il contribuente.
Da oggi, invece, si applicherà il modello Cipro. Se una banca fallisce, essa verrà ristrutturata attraverso il coinvolgimento nelle perdite, in primis dei suoi azionisti, poi degli obbligazionisti meno tutelati, poi ancora dei depositanti al di sopra dei 100 mila euro. Restano assicurati i depositi sotto tale importo.
Si tratta di trasformare il bail out in bail in, nel senso che le perdite delle banche saranno ripartite tra i suoi stakeholders e non saranno più a carico della collettività. Ovviamente un tale meccanismo implica più che mai che il risparmiatore dovrà tenere gli occhi bene aperti, sia sulle azioni e le obbligazioni bancarie da acquistare, sia sulla possibilità di depositare o meno il proprio denaro in un Istituto.
Se è vero che servirebbero regole più stringenti per rendere i bilanci delle banche più trasparenti, è indubbio che questo nuovo meccanismo porterà le stesse ad un maggiore rigore interno, perché rischiano di rimetterci di tasca propria, per cui d’ora in avanti i risparmiatori avranno tutta la convenienza a non fare sconti a chi sbaglia.
Esaminando la situazione italiana, tuttavia, non abbiamo in vista fortunatamente casi possibili di fallimento banche. Per quanto fiaccati dalla crisi del debito sovrano, i patrimoni dei nostri Istituti sembrano solidi, come dimostra il fatto che nessuna banca italiana è stata salvata dopo il fallimento di Lehman Brothers, a differenza della “virtuosa” Germania