Il tam-tam andava avanti da settimane nella blogosfera italiana e sulla sua pagina fan di Facebook: a Roma ci sarà anche “Lui”.
“Lui” è noto in molti modi: “King Khan”, o SRK, oppure “Sciarucchino” come lo chiamano
Vale la pena di leggere qui l’intervista di SRK al quotidiano La Repubblica; qui inoltre c’è un pezzo del quotidiano La Stampa su Il mio nome è Khan (ma anche su Gangor, il film-denuncia di Italo Spinelli sulla violenza contro le donne in Bengala).
Perché tanto clamore per un attore indiano – si chiederanno quelli che (legittimamente) non sono “aficionados” di Bollywood. Bene, per dare un’idea del personaggio basta sapere che SRK non è “solo” la più grande star (e a volte produttore) della più grande industria cinematografica del mondo: già nel 1997 è stato dichiarato “cittadino indiano dell’anno”, nel 2002 ha ricevuto il premio Rajiv Gandhi e nel 2005 l’alta onoreficenza Padma Shri, nel 2008 il settimanale americano Newsweek lo ha incluso tra le cinquanta maggiori personalità mondiali (uno dei due soli indiani ad essere citato nella lista) mentre Time l’ha indicato come uno dei ‘Dieci uomini
Shah Rukh Khan (Hindi: शाहरुख़ ख़ान, Urdu: شاه رخ خان) è un uomo lontano dalla volgarità di certo stardom bollywoodiano. Inoltre è di famiglia musulmana ma culturalmente laico e cosmopolita, e in quanto tale perfetto testimonial di una Bollywood sempre più globalizzata. Attore versatile, a suo agio sia nei ruoli brillanti sia in quelli drammatici (basta pensare alla sua performance in Devdas) ha dato un’ottima prova di sè, a fianco della coprotagonista Kajol, in questo film del regista Karan Johar, che lo aveva già diretto in blockbuster come Kuck kuch hota hai e come Non dire mai addio (Kabhi Alvida Na Kehna) visto nell’estate 2010 su Rai 1 nella rassegna Stelle di Bollywood (rassegna che però ha avuto il demerito di mutilare i film indiani delle scene di musica e danza).
In tutto l’Occidente My name is Khan (questo il sito ufficiale del film) ha riscosso un ottimo successo anche per gli elementi di attualità presenti nel plot – la difficile condizione dei musulmani nell’America post 11 settembre – e per il personaggio interpretato da SRK, un uomo di grande sensibilità ma affetto da una disabilità linguistica dovuta a una sindrome para-autistica, che ricorda allo spettatore occidentale celebri personaggi come il Forrest Gump di Tom Hanks o il Rain Man di Dustin Hoffman.
Il film è molto godibile: dai toni agrodolci, non privo di accenti di impegno politico e sociale, e con un finale che è un inno alla speranza nella migliore tradizione dell’ottimismo bollywoodiano. Non resta che attendere il 26 novembre per vedere se anche il pubblico italiano, come quello europeo e americano, mostrerà di apprezzarlo e tributerà un applauso al carismatico SRK.