Eccolo che gioca all'ombra del travertino sacro di Santa Maria Maggiore, di quel marmo liscio che odora di piscio e acqua santa.
Scende dal quinto piano di via Carlo Cattaneo correndo, come se la vita stessa volesse agguantarlo, attraversa la strada e si getta a capofitto nell'oratorio della chiesetta più piccola di S. Vito, addossata a un ultimo resto delle mura Serviane, ma è quell'oratorio il primo laboratorio di vita in cui si imbatte mio padre, il luogo delle prime amicizie. Lì incontra Alfredo, il compagno di una vita, alto, sornione, gli occhi un po' bovini. Stanchi di giocare a battimuro i ragazzini del quartiere si ritrovano in sacrestia, e lì una tenda di velluto rosso che separa gli ambienti gli accende la fantasia: recitiamo, io so' questo, tu fai quell'altro e Alfredo, lisciandosi i capelli con un pettinino che tira fuori dalla tasca, zittisce tutti e dice "Io faccio Rodolfo Valentino e me metto dietro la tenda, appena esco voi me battete le mani e dove di' Viva Rodolfo Valentino!!". A Mario non sembra vero, coglie la palla al balzo e organizza lo scherzo perfetto, istruisce in un batter d'occhio quella torma di ragazzini e quando Alfredo, teatralmente scosta il morbido sipario, in un unico coro si alza l'urlo "Evviva er fijo der portiere!!!".