[Presentazione: Questa fiaba è la storia di un nonno socievole e bizzarro, alle prese con una bimba completamente priva del dono della fantasia.
Introduction: This fairytale is the short story of a nice and strange grandfhater, with has to do with a baby completely without fantasy.]Questa è la storia di Stefano, un nonno, uno di quelli col gilè sul petto e la pipa in mano, e di Adele, una ragazza priva di fantasia.
Stefano aveva avuto una vita modesta: aveva lavorato come impiegato di banca, e non si era mai mosso da casa, ma era riconosciuto da tutti come una persona gentile e accogliente. Da quando era andato in pensione, aveva iniziato un’attività singolare: radunava dei bambini disadattati in un salone, e li stimolava a raccontare storie. Una sorta di centro di recupero adolescenziale basato sulla scrittura creativa. Lo scopo non era tanto quello di trasformare i ragazzi in scrittoriprofessionisti, o di rendere famose le loro storie, ma quello di rendere piacevole una singola storia: la loro. Fu per quella sua passione che Stefano finì per essere chiamato ‘Cavastorie’: una sorta di versione buona del dentista.
Con una certa ispirazione (non quella della pipa, che non va inspirata) aveva chiamato questa sua idea “Galassia Arte”. Il tempo di maggior attività per Stefano erano le feste di Natale: i bambini erano a casa da scuola e i loro genitori li portavano volentieri da quell’eccentrico vecchietto.
Quest’anno, aveva a che fare con vari bambini afflitti da diverse difficoltà. C’era chi mangiava troppo, chi veniva preso in giro dai compagni, chi stava crescendo con la sindrome del gangster…
Ma Stefano, in quel salone caldo col caminetto sempre acceso, riusciva a tirar fuori da ognuno di loro una buona storia e, sulle ali di quella loro piccola impresa, cominciavano a guarire. Non è un metodo scientifico o medico, Stefano lo sapeva. Ma sapeva anche questo: che spesso la cura migliore la si trova nei metodi più semplici.
Il timido riusciva a uscire dal suo guscio raccontando la favola dell’uomo di sapone; lo sbruffone imparava la modestia raccontando la storia di Ugo cento errori; il ghiottone perdeva chili immaginando fiabe golose. Chi proprio non riusciva a spiccicar parola, era Adele: una ragazza completamente mancante del dono della fantasia. Non è un modo di dire, non ne aveva punto. Se le indicavi il cielo e le chiedevi: “Che cosa vedi in quelle nuvole?” lei, con la massima serietà, rispondeva: “Nuvole.” Se le sue amiche la invitavano a giocare a prendere il tè come fossero ricche signore, le smontava ricordandole il fatto che erano solo piccole bambine e che, soprattutto, in quelle tazze non c’era una goccia di tè. Quando i ragazzi giocavano ai duelli Western, non riusciva proprio a capire perché perdessero tempo a puntarsi contro gli indici in quel modo ridicolo. Se si giocava a scappare dall’orco, sbuffava osservando che non c’era proprio nessuno da cui scappare.
Adele non era cinica: non riusciva proprio a vedere oltre la realtà. Stefano non sapeva più che pesci pigliare. Alla vigilia di Natale, fu tanto preso dalla situazione di Adele che scrisse una letterina a Babbo Natale, chiedendogli di regalare la fantasia alla bimba. Non era certo un metodo scientifico, ma era pur sempre Natale.
Il giorno di Santo Stefano (a volte le coincidenze!) i bambini del vecchio Cavastorie si radunarono nell’ampio salone: tutti dovevano raccontare qualcosa. I più parlarono del pranzo in famiglia e dei regali. Ma quello più bello lo ricevette Stefano: Adele, si alzò di scatto dalla sedia, e raccontò una storia.
Parlò del passato degli uomini, un tempo ancestrale in cui tutti erano fatti di cristallo. Era un tempo magico e strano: tutto era diverso. Innanzitutto, bisognava stare attenti a come ci si comportava: una stretta di mano troppo forte e rischiavi di andare in pezzi. Bisognava essere delicati, e non avere fretta: ogni gesto doveva essere curato. Allora, non si poteva neanche mentire, perché i pensieri si leggevano attraverso il cranio e, per non fare pessime figure, dovevi dire sempre la verità.
Un giorno, però, un inventore mezzo pazzo, ma geniale, inventò la pelle. Una membrana morbida e piacevole, con la quale incominciò a coprire il cristallo di cui gli uomini erano fatti: si faceva una cucitura lungo la schiena, e poi si richiudeva tutto sul davanti. Il successo fu eccezionale, e perfino magico.
Infatti, dopo i primi interventi, non vi fu più bisogno di ricoprire le persone: i bambini nacquero già muniti di pelle. Come fosse una cosa naturale quanto i bambini stessi.
Eppure, concluse Adele, ci sono rimasti alcuni segni di quelle cuciture, tant’è che quando proviamo un’emozione sincera, sentiamo come un formicolio percorrerci la schiena: rivela il cristallo di cui siamo fatti.
E fu proprio quel formicolio rivelatore che Stefano provò quando, dopo aver ascoltato la storia, abbracciò Adele, la bimba a cui il Natale aveva regalato la fantasia.