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Fantastic Mr. Fox (Wes Anderson, 2009)

Creato il 06 aprile 2014 da Carusopascoski

Nell’antica Islanda il Waldgänger (letteralmente, colui che passa al bosco), è il proscritto che si dà alla macchia e conduce una vita solitaria, libera e rischiosa. Lo scrittore tedesco si rifà a questa tradizione nordica per tracciare la figura del Ribelle, un tipo d’uomo che sceglie di resistere al nichilismo desertificante del nostro tempo. Jünger individua nelle “teorie che tendono ad una spiegazione logica e razionale del mondo”, e nel “progredire della tecnica”, l’origine dell’assedio all’uomo moderno. Com’è possibile salvarsi da questa realtà che annienta l’essere, o perlomeno lo nasconde sotto identità artificiali? La risposta che Junger dà è: Incamminandosi lungo la Via del Bosco… “
Parados, Dagli antichi ai moderni

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L’intera filmografia di Wes Anderson, recentemente arricchitasi con Grand Budapest Hotel, filtra esplicitamente col mondo dei cartoni, con le stramberie dei fumetti e con la comunicazione immediata e poetica dei bambini, a volta a partire dagli stessi soggetti come in Moonrise Kingdom. Nel suo film più vicino alla fantasia sfrenata de Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Fantastic Mr. Fox, delizia lo spettatore con lo stop motion e la solita invasione di colori, spassose burle e avventure semiserie. Come altrove, è qui sempre capace di comunicare a livello emozionale qualcosa di ben più tangibile dell’insieme delle singole scene, quella nostalgia fabulistica di una bellezza leggerissima e alla portata di ogni nostro gesto quotidiano in cui risiede il talento totale di Anderson, qui nel suo film più politico, la summa stilistica più esplicita e coerente della sua anarchia minimale. “Restare animali” (parafrasando Vittorio Arrigoni) è l’esortazione più vitale di questo film stupefacente.

“Il Waldgänger è una rappresentazione contemporanea dell’archetipo dell’Uomo Selvatico, colui che si salva grazie al suo sapere naturale. La Via del Bosco è dunque il percorso che ogni uomo deve compiere per recuperare la sua “selvatichezza”, e per riscoprire quelle forze ed energie maschili, anche violente ma necessarie alla trasformazione della realtà, che la società grandematerna ha sacrificato sull’altare delle buone maniere”

Claudio Risé, L’ombra del potere

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