[Settima puntata della Rubrica Nella pancia del drago]
Citando l’esordiente “autore per ragazzi” Mark Twain: «L’unica differenza tra la realtà e la fantasia è che la fantasia deve essere credibile». Ovviamente gli adulti non lo sanno (Shhh… non diteglielo!)
Ben ritrovati, oh valenti, in queste rettili viscere fantastiche. È con sommo diletto che, dopo la più grossa valanga di commenti dall’inizio della rubrica, do ora in pasto ai succhi gastrici questa settimana puntata di Nella pancia del drago. L’esordiente Mark Twain mi dovrà scusare per due ragioni:
- in contrapposizione a “reality” Twain parlava di “fiction”, e chiunque nel contesto della frase volesse tradurre in italiano “fiction” con “fantasia” sarebbe tacciabile di uso fazioso di citazione e al solo scopo di far suonare intellettuali gli spoiler delle rubriche sui blog letterari e i contenuti della propria bacheca Facebook;
- in relazione al punto precedente, Mark Twain è sì uno dei geni della letteratura per ragazzi, ma non fantastica. Egli ha, però, insegnato alla letteratura una lezione fondamentale: i bambini creano mondi fantastici e li sovrappongono al reale in ogni istante della loro esistenza. Basta ad esempio un fiume, un amico e una zattera.
NB: chiunque nel 2013 consideri ancora la dicitura “autore per ragazzi” come sinonimo di “autore di piccola letteratura” può smettere di leggere ora.
Still here? Si è accennato, nella scorsa puntata, a come negli ultimi decenni la letteratura fantastica abbia visto un proliferare di giovani protagonisti, eroi in fascia d’età 12-17 (Harry Potter, Lyra Belacqua, Percy Jackson, Katniss Everdeen e chi più ne ha più ne metta). Un fenomeno letterario ed editoriale cresciuto tanto da aver acquistato la dignità di genere a sé: Young Adults (YA). Per alcuni, soltanto un’odiosa tag del mercato, l’ossimoro giovani-adulti si potrebbe dire del tutto lecito in quanto letterale esplicitazione del concetto di cross-over: una narrazione capace di appassionare i lettori a cavallo di diverse fasce d’età e generazioni.
Non si può certo dire che i bambini e i ragazzi fossero lontani dalla letteratura fantastica precedente, dalle fiabe classiche mitteleuropee sino ai primordi del fantasy moderno, Lewis e Narnia in primis. Il ruolo dei giovani protagonisti all’interno delle storie e il loro relazionarsi all’elemento fantastico sembrerebbe siano, però, mutati nel tempo. Nella fiaba classica, così come in Lewis e in altri autori britannici “classici” (Alan Garner, Susan Cooper) si assisteva al viaggio nel mondo fantastico. I giovani protagonisti s’infilavano in un giardino segreto coperto di erbacce o in un armadio e, rivendicando la loro indipendenza dal nucleo familiare, lasciavano il reale immergendosi nei meravigliosi mondi dell’altrove. Mondi idilliaci o infernali, più metafore della realtà che universi coerenti in sé, e comunque parentesi destinate a chiudersi il più presto possibile, nel bene e nel male.
Per lungo tempo, il fantasy ha tenuto separato questo tòpos narrativo con protagonisti gli Hansel e Gretel di turno da quello del fantasy mimetico “tolkieniano” ambientato in Secondary Worlds, spesso svilito a epic-trash. Nei primi, le streghe rimanevano cattive, i ragazzini spaventati; nei secondi, l’eroe era adulto, armato di tutto punto e alle prese con mostri, violenza e (a volte) sesso (Conan?). Poi venne il giorno. All’improvviso, negli scaffali delle librerie saltarono fuori Hansel e Gretel adultissimi tredicenni, spalla contro spalla, sguardo truce, lui con spada bastarda e lei con arco composito. E, incredibile ma vero, tutti i lettori, giovani e adulti, si resero conto d’un tratto che sì, non aspettavano altro! Go Gretel, kill’em aaall! – urlò la folla nell’anfiteatro di Capua/Panem.
Perché mai? Che la causa si possa individuare nel deteriorarsi della componente di mistero nella vita di tutti i giorni della nostra società complessa a elevato tasso tecnologico (che tra l’altro è l’unica che supporta il concetto stesso di editoria)? Non sarei il primo a dirlo.
Come, in risposta alla nautica e alla cartografia ottocentesca, la letteratura fantastica dovette trasferirsi da isole perdute non più perdute a veri e propri universi paralleli altrove (Secondary Worlds), così forse la mancanza d’indipendenza dell’infanzia odierna, il bombardamento mediatico e la possibilità di comunicare istantaneamente ovunque e con chiunque hanno fatto sì che la realtà diventasse fin troppo reale anche agli occhi di Planeswalker provetti come bambini e ragazzi.
Emblematico a riguardo sembrerebbe il cambiamento di approccio della letteratura fantastica nei confronti della magia e, in particolare, della figura della strega (Bulter 2006). Ebbene sì, le streghe sono sempre state cattive. Tralasciando il ruolo che il cattolicesimo ha avuto nella demonizzazione della magia, l’impianto folkloristico di culture non soltanto europee ha sempre considerato la magia come qualcosa di oscuro, se non apertamente malvagio comunque selvaggio, imprevedibile, da non avvicinare a cuor leggero. Nella letteratura fantastica contemporanea e ancor più in quella per ragazzi, la magia, invece, si è elevata a simulacro di quella sacralità misterica della natura che la nostra società sembra aver rimosso dal grado di valore etico.
Ecco, quindi, il mago, colui che abbraccia nel suo spirito la magia del mondo. Mr Potter non può che tornare ancora una volta protagonista: a prescindere dal fatto che il suo mondo magico non sia secondario e a sé stante, è comunque il mondo reale. Dall’altra parte ci sono i Babbani, grigi, tristi, il più delle volte stronzi se non fossero troppo insipidi anche per quello. Al contrario che in molta letteratura per ragazzi di fine Novecento, il rapporto con il fantastico s’impone non più come incidente, come imprevisto dopo il quale il giovane protagonista tornerà alla realtà, bensì come catarsi, crescita emotiva e spirituale topica nella vita del protagonista, un vero e proprio rito di passaggio che gli permetterà di diventare adulto nell’unico modo possibile e lecito: mago nel cuore, anche se babbano di sangue.In una società dove “l’età adulta” insinua l’infanzia come il Nulla corrode Fantasia, gli esseri sovrannaturali che sono i bambini si ergono a eroi salvatori dell’intero genere umano. In questo modo più di qualsiasi adulto realismo la letteratura fantastica sembrerebbe imporsi come baluardo della grande tenzone morale che vive il nostro tempo.
Il mito fantastico dell’infanzia beata è morto, e la battaglia simbolica, destino vuole, si è svolta ancora a Oxford: nelle Cronache di Narnia, Lewis uccide i suoi quattro giovani protagonisti piuttosto che farli tornare alla realtà e diventare adulti, come se l’Isola che non c’è e Peter Pan fossero l’unica speranza dell’umanità per evitare il “trapasso” all’età adulta. In Queste oscure materie, il maestro di scuola Philip Pullman s’indigna e costruisce l’impianto della sua avventura sul diritto a diventare adulti, abbracciando la magia, la Polvere, ciò che collega gli infiniti mondi dell’altrove (il Multiverso, Fantasia) e che spira come componente vitale imprescindibile nell’anima di ogni essere umano.
Tolkien sosteneva che le storie fantastiche non dovessero essere ristrette ai bambini, ma che il bambino in ogni lettore per via della sua capacità di sorprendersi e credere fosse l’unico elemento che permettesse a una storia fantastica di essere tale. Allo stesso modo il volto della letteratura fantastica per YA, forse l’unica letteratura per ragazzi possibile per la sensibilità del nostro tempo, non è quello di storie per ragazzi che si adattano anche agli adulti, ma di storie assolutamente adulte che tramite i giovani protagonisti parlano al ragazzo che sopravvive in ogni adulto a ricordargli di quando anch’egli si ergeva, portatore di luce, con occhi lucidi sulla soglia dell’eterno mistero del vivere con il coraggio ancora di osare, sbagliare, rialzarsi, essere, fino in fondo e oltre, l’infinito in potenza.
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Ci ritroviamo on line il 03/09/2013 con la puntata n. 8 della Rubrica Nella pancia del drago: A Marx non piace il fantasy.
Non c’è niente da fare, c’è sempre qualcuno che per sentirsi un individuo equilibrato deve costringere messaggi esistenziali eterni nella limitatezza di categorie politiche. Come, non avete visto la spilletta sul panciotto di Bilbo? (PEP: “Partito dell’Erba Pipa”).