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Parlare di Fantozzi è come parlare di simbiosi: la sfortuna del protagonista di celluloide è identica alla sfortuna della pellicola stessa. E dire che i presupposti per un successo, all’epoca (parliamo del 1975) c’erano tutti.
A partire dal personaggio, quel ragionier Ugo Fantozzi reso celebre dai racconti di Paolo Villaggio sull’Europeo prima e in una serie di romanzi poi (che gli valsero addirittura il celebre Premio Gogol), osannato da pubblico e critica, e amatissimo in patria e all’estero; passando per il regista, Luciano Salce, esperto e navigato, chiamato ad un lavoro che, a detta degli esperti, avrebbe dovuto sancire la sua definitiva consacrazione; fino ad arrivare ad un parco attori che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto fare sfaceli.
Quando infatti la Rizzoli Film, proprio su proposta di Villaggio e Salce, decise di affidare a Renato Pozzetto i panni del ragionier Fantozzi (dopo il cortese rifiuto da parte di Ugo Tognazzi), non avrebbe mai pensato ad un flop clamoroso, proprio (e soprattutto) in virtù del momento d’oro che lo stesso Pozzetto stava vivendo grazie alla splendida performance offerta nel bellissimo “Per amare Ofelia”.
Il prescelto per la parte di Fantozzi...
Invece Fantozzi, che pure ha avuto a quel tempo un battage pubblicitario invidiabile, è stato proiettato nell’assoluta e completa indifferenza del pubblico, che l’ha totalmente snobbato, facendolo cadere nell’oblio e segnando uno dei più clamorosi flop della storia del cinema italiano.
Io l’ho rivisto qualche giorno fa, dopo aver riletto per la quattrocentocinquantesima volta “Fantozzi” e “Il secondo tragico libro di Fantozzi” di Villaggio, da cui Salce ha tratto alcuni episodi per il suo film.
E, oggettivamente, Fantozzi non è così orribile: alcune scene sono identiche a quelle della sua controparte cartacea, alcune situazioni sono le stesse, e più in generale, il film fa anche ridere (la scena in cui Fantozzi e Fracchia giocano a tennis è d’antologia, così come quella del campeggio, per non parlare della partita di calcio e dell’arrivo del nuvolone da impiegato).
Pozzetto che si contorce in smorfie al limite del parossismo, che viene bersagliato dalla scalogna più nera, e che deve chinare sempre la testa davanti ai potenti È, in tutto e per tutto, il Fantozzi descrittoci da Villaggio.
Eccetto che per un punto: quello più importante.
Com'è umano lei, sa...Molto umano!
Il vero Fantozzi, nonostante le angherie, nonostante la sfortuna, e nonostante le avversità, regalava al lettore uno slancio di orgoglio, che lo rendeva umano e, sotto certi aspetti, superiore a tutti gli altri. Nonostante le vessazioni, nonostante le cattiverie subite, il Fantozzi cartaceo trovava sempre il tempo per provare a reagire. E pur fallendo (praticamente sempre), quel tentativo orgoglioso gli restituiva una certa dignità.
L’iperbole descrittiva sovrautilizzata da Villaggio nei suoi racconti era funzionale non tanto alla risata spicciola (che arriva puntualissima), quanto al tentativo di riscatto di Fantozzi, che regolarmente portava a un fallimento clamoroso ma che, per questo, risultava più simpatico ed empatico.
Questo aspetto, nel Fantozzi cinematografico, manca del tutto.
E anzi, è ribaltato.
Se nei racconti di Villaggio le situazioni sfortunate che provocano la risata erano e sono subalterne ai fallimenti di Fantozzi (che attraverso le sue defaiances diventava veicolo di critica all’italiano medio di quell’epoca), nel film di Salce diventano ahinoi il motore principale.
Nei racconti, Fantozzi fallisce perché è destinato a fallire, non perché è sfortunato o vessato.
Nel film, invece, il tutto è limitato a Renato Pozzetto che dà una craniata pazzesca, che riceve la martellata da Fracchia mentre montano la tenda, che prende l’autobus al volo, che non può essere aiutato sennò è squalificato, e così via.
Il film è unicamente incentrato sulla funzione comica supportata da Pozzetto, e mai su quella umoristica e iperbolica indicata dai racconti di Villaggio.
Fantozzi a rapporto dal Direttore Laterale
Probabilmente è anche colpa dello stesso Pozzetto, che non riesce ad andare al di là di un Fantozzi che, quando non è vincolato alle gag che strappano la proverbiale risata, risulta piatto e, paradossalmente, monotono.
Ho trovato invece molto ben riuscita la performance di Cochi Ponzoni (eterno compagno di Pozzetto) nei panni di Fracchia, che nei racconti di Villaggio è solitamente la spalla di Fantozzi, mentre qui, spesso e volentieri, è uno dei (pro)motori delle sfighe e delle scalogne del ragioniere (la partita di pallone, quella di tennis e il campeggio sono iniziative suggerite proprio da Fracchia).
A distanza di quasi quarant’anni dall’uscita dello sfortunato film di Salce resta l’amarezza di un film che sarebbe potuto essere memorabile, e che invece lo è stato (e lo è diventato) per il motivo opposto…
Più che altro, mi domando ciò che critica e pubblico si sono domandati all’epoca e nel corso di tutti questi anni: viste le indiscusse capacità attoriali di Paolo Villaggio, che all’epoca lavorava con gente come Nanni Loy, Pupi Avati e Comencini, e che ha interpretato negli anni successivi personaggi memorabili sotto lo sguardo vigile e attento di Monicelli, di Fellini e degli altri maestri della cinematografia nostrana, non sarebbe stata una buona idea affidare l’interpretazione di Fantozzi proprio a lui, che l’ha creato?
Dopotutto, il ragionier Giandomenico Fracchia apparso in Quelli della domenica, e immortalato negli sketch con Agus, non era così diverso da Ugo Fantozzi…
E se Fantozzi l'avesse interpretato lui?
Ps: se vi sembra di aver letto un articolo su Fantozzi piuttosto delirante (o un articolo su Fantozzi che non è assolutamente veritiero) non abbiate paura, perché avete ragione. Il film di cui ho parlato non esiste (ma avrebbe potuto essere girato sul serio se Pozzetto non avesse rifiutato anche lui la parte, dopo Tognazzi). Perciò mi sembrava una buona idea per un articolo dedicato all’Impossible Movies Project, dell’esimio Mr. Giobblin…
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