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FAR EAST FILM FESTIVAL 13: “Under the Hawthorn tree” di Zhang Yimou

Creato il 03 maggio 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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La tredicesima edizione del Far East Film Festival accoglie tra applausi e commozione l’ultimo e atteso lavoro di Zhang Yimou. Il regista cinese dalle immense capacità visive e visionarie si discosta nettamente dalla recente incursione esplorativa nel genere wuxia (Hero, La foresta dei pugnali volanti) per recuperare un cinema più intimistico e con una forte connotazione sociale, ispirato al romanzo della scrittrice Ai Mi.

Siamo agli inizi degli anni settanta, nel vivo della rivoluzione culturale. Secondo il progetto di ‘rieducazione’ contadina voluto da Mao allo scopo di costruire le classi nei campi, la giovane Jinqiu (una promettente Zhou Dongyu), con un gruppo di liceali, viene mandata nel villaggio di Xiping e ospitata dal capo villaggio. Insieme, i ragazzi sono chiamati ad ammirare e venerare un albero di biancospino, simbolo della resistenza cinese contro gli invasori giapponesi. Durante il soggiorno in campagna, Jinqiu conosce Jianxin e tra i due nasce subito un tenero amore.

Dopo il remake di Blood simple (fratelli Coen), A woman, a gun and a noodle shop, Ymou delizia i suoi affezionati con un avvicinamento alle passate produzioni in grande stile. Under the Hawthorn tree offre un disegno narrativo ineccepibile incentrato su una dolce e assoluta storia d’amore e di devozione inserita in una panoramica sociale carica di una (velata) critica alla dittatura. Con la stessa delicatezza del sentimento puro a cui si appella, il regista cinese muove la macchina da presa per cogliere l’essenza di un legame e rendercela in tutta la sua bellezza nonostante le avversità. Nel ritrarre un amore fatto di gesti semplici e colmi di un’intenzionalità affettiva sincera, Ymou colloca i personaggi in un quadro storico trattato non come mero sfondo ma, piuttosto, come elemento condizionante la loro intimità. La famiglia di Jinqiu verte in cattive acque per via del suo orientamento politico contrario al regime, e Jianxin ha alle spalle il suicidio della madre capitalista. La madre di Jinqiu impone un controllo continuo alle sue scelte e azioni, sia lavorative sia private, e i due giovani amanti sono costretti ad agire in un recinto governativo che lascia poco spazio al libero arbitrio. L’innesto di una piccola storia nel disegno più grande della Storia di un Paese avviene senza creare rotture né interferenze disturbanti. Il risultato è un amalgama coerente in cui riusciamo ad appassionarci e, al tempo stesso, riflettere sulle brutture della dittatura.

Ymou eccelle, dunque, nell’introdurre la componente politica nella storia d’amore senza violarne la sostanza, dando prova di grande consapevolezza registica ed equilibrio narrativo. La critica al regime si avverte anche nella trattazione parodistica della scena sui preparativi di uno spettacolo organizzato dagli studenti per celebrare Mao. Senza turbare il nucleo amoroso del plot, Ymou attacca l’assoggettamento al partito affettando e esasperando le immagini. L’amore impedito dalle convenzioni sociali tende irrimediabilmente verso un epilogo drammatico (calcando vagamente le tracce di Love story), a cui ci avviciniamo con grande trasporto emotivo.

All’interno del film si può ravvisare una visualizzazione, fortemente simbolica, del contrasto tra la vita e la morte espresso dalla potentissima metafora giocata sulle funzioni antitetiche del cinema e della fotografia. Un momento felice tra Jinqiu e Jianxin è immortalato dalla fotografia, ma dato allo spettatore tramite le immagini in movimento quando i due innamorati sono al culmine della loro vitalità. Il cinema, nel suo legare le azioni presenti, è flusso, energia, quindi vita, a differenza della fotografia, statica collezionista di istanti, che rappresenta il tempo passato che ora non è più. Quell’istante gioioso viene mostrato in foto quando i due protagonisti sono ormai condannati a non poterlo rivivere mai più.

Francesca Vantaggiato


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