Basta davvero un niente per diventare un tutto.
Mi hanno detto che se decidessi di andare a Parigi, mi scambierebbero tranquillamente per una parigina. Al chè, ho veramente immaginato di essermi trasferita a Parigi, magari in un loft sulla Senna, a far la romantica tra un tramonto e l’altro, e l’indomani farmi svegliare dalla luce del sole che si flette sul fiume, dal rumore dolce di primavera di alberi sempre verdi – o sempre spogli – fiori rosa e fiori di pesco, o magari far colazione nello stesso bar in cui Audry Hepburn fa colazione nel suo film, da Tiffany insomma.
Tanto che quel bar fece il giro del mondo – pur non si muovendosi mai da lì – e chissà quanto c’avrà guadagnato con quel film.
Mentre vado a fare colazione in quel bar comincio a contare i guadagni. Nel mentre un piccione mi si poggerà addosso lasciandomi un ricordino, o una bicicletta mi taglierà la strada, o tutte quelle cose che accadono quando guardi per aria, soave, sognante e sbadata, tanto da diventar trasparente che nessuno ti vede più. Allora mi chiedo ancora una volta “Perché agli attori mentre girano il loro film non succede mai niente?” o meglio “perché non lo fanno succedere, o se lo fanno succedere si nota subito che è tutto un clichè?”
Soggiunta finalmente di fronte al bar, lo guardo: prima il logo poi la porta.
Sì perché un locale è bello prima di tutto per queste due cose, che se dovesse non piacere il resto, per lo meno quel bar – per un motivo o per un altro – sarà comunque stimato “non è che si mangi benissimo, però la scritta in alto e la porta erano veramente belle” e ti sei parato… dalla critica!
Un’altra cosa che nei film manca è l’esitazione. Ma quella vera vera, vera proprio. Quella che se fatta male potrebbe anche far addormentare il pubblico, ma se fatta bene lo sveglierebbe come non mai. Un’attesa che duri almeno cinque minuti (di ora legale) abbondanti. Una bella prova. Eppure nei film non succede: anzi, si capisce subito che non entrerà al bar: dagli occhi, prima ancora che dalla faccia. Perché gli occhi – chissà perché – anticipano sempre l’azione di un attore. Sta tutto quì, negli sguardi da cui parte intenzione – azione – gesto.
Insomma in quel bar non solo non ci sono entrata, ma l’ho fatto capire, perchè ho salutato la cassiera augurandole una buona giornata. Ho continuato dritto per la mia strada ed è stato lì che sdegnatamente ho pensato “Se oggi come oggi il logo di quel bar fosse il nome del mio blog, ci scommettiamo che - anche – Una valigia di Caffè farebbe il giro del mondo – senza muoversi?”
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