Come vi sentireste se doveste ogni santo giorno tappare i buchi di un cliente che una ne pensa, cento ne fa e mille ne dice? Se foste costretti a tenere acceso l’IPhone collegato con l’Ansa 24 ore su 24 e vivere nel terrore che, sempre il cliente di cui sopra, si possa mettere nei guai a causa della sua logorroica verbosità? Come stareste voi se vi toccasse rinunciare alle ferie, alle feste di compleanno, agli onomastici, agli anniversari, a Natale, a Pasqua, al Ferragosto, a Sant’Ambrogio, al Primo Maggio e al 25 Aprile perché in qualsiasi momento potreste essere costretti a rilasciare una smentita alle dichiarazioni del vostro datore di lavoro in piena crisi di onnipotenza? Minimo un po’ stressati, parecchio scazzati e in preda a paranoici istinti omicidi placati solo da assegni a 6 zeri, gli unici che, come i cachet, possono farvi passare quel terribile mal di testa che vi tormenta quotidianamente. Solo che a volte lo stress, e lo stare ripetutamente sulla graticola, causa danni che vanno al di là della pur pagata profumatamente difesa d’ufficio. Niccolò Ghedini si trova esattamente in queste condizioni, e la nostra solidarietà e umana comprensione, questa volta arrivano quasi a livello di amore fraterno. Sir Biss non è un politico. Di mestiere fa l’avvocato e, prima che le sinapsi gli entrassero in sovraffaticamento da tilt, era anche un bravissimo avvocato, un vero e proprio principe del foro. Preciso, puntuale come un orologio svizzero, pignolo a tal punto da rasentare il maniacale, codici alla mano smontava puntigliosamente tutte le accuse rivolte al suo capo. Non c’era un reato, diconsi uno, che lui non padroneggiasse dall’alto della sua acclarata professionalità e abilità diabolica di cambiare le carte in tavola. Michele Santoro, ad esempio, sa quanto sia difficile tenergli testa, sa perfettamente cosa significa essere costretti ad avere nervi saldi e a dover frenare l’istinto bestiale di mandarlo affanculo, magari con un ceffone bene assestato e liberatorio. Niccolò possiede la dote rara di far imbufalire le persone che provano a confutare le sue tesi difensive e, quando si rende conto che gli butta male, si rifugia nel suo slang preferito, quel “Mavalà”, ormai assurto a dignità di tormentone, che fa incazzare più degli argomenti, spesso tarocchi, che adopera per raggiungere i suoi scopi. È abilissimo nel logorare i nervi degli avversari e dei giudici che si trova di fronte. Con i pm poi è di un micidiale chirurgico, ribatte parola su parola alle accuse fino a farle sembrare persecuzioni, e su questa linea difensiva ha impostato tutti i processi che hanno riguardato e riguardano il padrone. C’è però da aggiungere che, quando la mala parata si profila all’orizzonte, smette la sua toga di avvocato e indossa quella del ministro Guardasigilli. Pierino com’è, Ghedini ama cambiare le regole del gioco a gioco iniziato e fanculo la deontologia, la costituzione e tutti quegli orpelli e cavilli legali che ostano l’assoluzione dell’unico cliente che ha. Ma Niccolò non è un politico. È un avvocato. E da legale lui deve far assolvere il suo cliente costi quel che costi, figure di merda comprese, danni d’immagine compresi, sputtanamenti pubblici compresi. L’unico quesito che Ghedini pone ai magistrati, come ai giornalisti è: “Tutto questo è penalmente perseguibile?”. Spesso la risposta è “no”, per cui l’assistito è salvo e la sua parcella pure. Non si domanda, Ghedini, se i fatti contestati al suo cliente siano moralmente rilevanti, politicamente riprovevoli, eticamente vergognosi perché quello che conta sono i codici, il resto è gossip, violazione della privacy, cazzi suoi e di quello che avviene dentro qualche letto e fra quattro mura. Ammettere quindi che il presidente del consiglio va a puttane, ma come utilizzatore finale, consente al premier di salvarsi dal codice penale mentre l’etica può andare a farsi fottere (letteralmente). Che “prescrivere” significa “assolvere” perché non c’è stata sentenza, è di un acume tale che a Ghedini dovrebbe essere assegnato il Nobel per la paraculata. Così, consigliare a quello che di lì a breve sarà un latitante nei cui confronti la magistratura ha spiccato un mandato d’arresto, è una chiacchiera fra amici e poi “l’essere latitanti non è un reato, ma un diritto”. Deontologicamente a Niccolò Ghedini non si può rimproverare nulla. Lui deve dimostrare che il suo capo non è incappato negli strali dei codici, che le birichinate che combina sono solo birichinate che nessun codice penale condannerà mai. Che poi queste marachelle cozzino con il ruolo che il suo cliente occupa pro-tempore, è un fatto che riguarda la morale e non la legge e la morale berlusconiana, si sa, è quella che è. Fra tutti i guai combinati da Silvio, che oggi Travaglio elenca con una puntigliosità certosina nel suo editoriale sul Fatto, questo della telefonata ferragostana con Valter Lavitola è il più grave, il più moralmente deprecabile, il più eticamente vergognoso. Consigliare a un “amico” di restarsene all’estero, dopo che un giornale del suo impero “brucia” l’inchiesta dei giudici di Napoli anticipandone le mosse, è un atto da guitto irresponsabile, da caporione borioso, da ras del quartiere perennemente ubriaco. E quando è lo stesso pseudo amico che gli dice: “Sai che c’è? Quasi quasi torno, vado dai magistrati e gli spiego tutto” e la riposta è “Fermo dove sei, non ti azzardare a tornare”, la misura non è colma, tracima. Silvio è quello che dice “L’unica cosa di cui possono accusarmi è che scopo”, se lo avesse detto in un qualsiasi altro paese estero lo avrebbero messo sul primo treno utile e mandato in esilio. “Se il prelievo fiscale si fa indecente è giusto non pagare le tasse”, in un qualsiasi altro paese estero lo avrebbero denunciato all’Onu per alto tradimento e istigazione a delinquere. “Mangano avrà pure avuto amicizie pericolose ma è un eroe”, in un qualsiasi altro paese estero lo avrebbero condannato al 41bis senza passare dal via. La gravità dell’aver consigliato a un faccendiere di sottrarsi alla magistratura e tanta e tale che si commenta da sola. Ci sembra di risentire Don Vito Corleone che consiglia a Michael: “Figghiu miu, statti in Italia. Qua in America aria pesante tira pe’ tia”.
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