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Lavora duro ma è felice assieme alla moglie Midori e al figlio di 6 anni , Keita.
Tutto procede bene fino a quando una telefonata dall'ospedale in cui è nato il bambino 6 anni prima li fa scivolare improvvisamente nell'incubo: sono stati vittime di uno scambio di bambini.
Keita non è loro figlio biologico .
Il figlio di Ryota e Midori vive in un'altrra famiglia, ben più modesta economicamente , assieme a un fratellino e a una sorellina. Non naviga nell'oro la sua famiglia ma è un bimbo amato e felice.
L'ospedale propone loro un congruo risarcimento e i bimbi dovrebbero tornare dalle loro famiglie biologiche ma ci vuole tempo per farli abituare e non traumatizzarli.
A Ryota vengono tanti dubbi: è il vero padre chi dona la vita o un gruppo sanguigno, o colui che ti cresce e ti insegna a vivere?
E se esistesse un altro modo per risolvere il tutto?
Il ritorno di Hirokazu Kore-eda, uno dei miei registi giapponesi preferiti se non il mio preferito, ma la scelta è veramente ardua , è un'altro excursus profondo e toccante nell'animo umano.
Un tema da far tremare le vene nei polsi, una vicenda che puè accadere ovunque ed è successa veramente ( si legga anche la cronaca nostrana di questi ultimi mesi con lo scambio di embrioni in un ospedale romano) ma ancora più estremizzato.
Non si tratta di embrioni, di esseri formati da poche cellule a cui è difficile affezionarsi se non pensando al futuro, al feto prima e al bambino poi che ne verrà.
Qui si tratta di bambini di sei anni con cui si è stati sempre insieme, cresciuti sotto la rassicurante ala paterna e improvvisamente esposti alle intemperie che solo un destino beffardo ti può riservare.
Indubbio che il fulcro di tutto il film sia Ryota: architetto di successo, con un bel macchinone, con una moglie remissiva che quasi fa tappezzeria , con un sacco di aspettative per il figlio costretto , forse suo malgrado a seguire lezioni di piano, di inglese e a studiare per entrare nella scuola privata.
Quasi soffre il piccolo Keita a giocare col padre che si diverte con gli aquiloni ma a lui va bene così.
E' suo padre e poco importa se sta crescendo in un batuffolo di bambagia in quasi perfetta solitudine tra un palloncino gonfiato , un videogame e un mondo fuori da scrutare con quegli occhi neri brillantissimi, vispi, che sembrano emanare luce.
La telefonata dell'ospedale fa crollare tutte le sicurezze di un uomo abituato a non avere incertezze, cominciano i dubbi su Keita , ritenuto di temperamento troppo morbido ma alla fine arrivano le domande giuste nella testa di Ryota: non è una questione di aspettative troppo alte?
Non è sua la colpa?
Dall'altra parte c'è una famiglia che vive più modestamente, ha altri due figli e la strada in cui vivono è decisamente meno piacevole del quartiere residenziale in cui vivono Ryota, Midori e Keita.
Eppure sono felici, la loro casa è uno sbuffo di colore che dà subito l'idea di essere vissuta da un branco di bambini che allegramente la mettono a soqquadro.
Poveri e felici da una parte , ricchi e infelici dall'altra.
Per un regista normale sarebbe così , ma non per Kore-eda, regista che ha un talento inarrivabile nel descrivere famiglie disfunzionali , si veda il bellissimo ( e terribile) Nobody Knows.
Qui c'è un dilemma da risolvere: chi è il vero figlio e il vero padre?
Quello assegnato dalla biologia o quello che ti ha dato in sorte,stavolta è il caso di dirlo, la vita?
Il dilemma che viene stoltamente ignorato dal titolo italiano, un semplice Father and Son e non il più pregnante Like Father, Like Son, tale padre e tale figlio, il nucleo pulsante del film.
I figli sono uguali ai loro padri genetici o sono condizionati dall'ambiente che li circonda?
Chi può rispondere a questa domanda ?
Nessuno probabilmente ed è questo che rode da dentro il sempre sicuro Ryota, uno abituato a ottenere tutto dalla vita.
Father and Son è un film che ti lascia svuotato, inebetito, soprattutto quando hai in casa un paio di bimbetti che ti chiamano papà.
E' un qualcosa che semina dubbi e regala incertezze, uno di quei film che sembrano essere più veri della vita reale.
E' tutto spontaneo, fluido, quasi non sembra esserci una macchina da presa e un regista che elargisce direttive agli attori in scena.
Father and Son vuole forse portare con sè una speranza: che un altro modo di vivere felicemente è possibile, riscrivendo il concetto di famiglia, concependola come un nucleo passibile di essere allargato.
Father and Son racconta il percorso di avvicinamento di Ryota, granitico nelle sue convinzioni all'inizio, a un nuovo modo di vivere la sua paternità, una volta che le sue certezze sono svanite come la neve al sole.
Father and Son è lo sguardo di un bambino, è tutto negli occhi penetranti di Keita, due fiammelle nere che illuminano il suo bel visino, è quel momento di vera unione quando padre e figlio guardano nella macchina fotografica che ha fissato un momento della loro vita.
Un momento che non verrà più cancellato.
Premio della Giuria a Cannes del 2013.
Spielberg, presidente di quella Giuria, ha comprato i diritti per farne un remake americano.
PERCHE' SI : è Kore-eda, basta la parola, film che fa riflettere come pochi
PERCHE' NO . se è indigesto il cinema orientale...
( VOTO : 8 + / 10 )
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