Torino, Velvet Club.
Vi confesso che ero curioso di vedere il gruppo trevigiano, ora che è rimasto orfano del drummer Vittorio Demarin, ma la curiosità era tanta anche per My Dear Killer.
Il binomio è perfetto, calza poi a pennello l’esibizione di un musicista timido come il lombardo, valido contraltare alle loro nenie noise. Stiamo parlando di storie fragili e dalla chiara inclinazione intimista, quelle che My Dear Killer sa bene come raccontarci, che partono da un canovaccio per certi versi abbastanza riconoscibile, comprendente Nick Drake e Jason Molina (Songs Ohia), ma che riesce ad affrancarsi da quei modelli ingombranti grazie a una genuinità fuori dal tempo, tra parole sussurrate e urla ebbre di ilarità nel convulso finale. La sua chitarra acustica, e l’accompagnamento elettronico di Yed Viganò, riescono a farsi sentire nonostante qualche chiacchiericcio di troppo che pervade il Velvet, e ci vengono riproposti i pezzi dell’ultimo, interessante The Electric Dragon Of Venus.
Breve pausa, e il “reverendo”, che aveva assistito all’esibizione di prima, si posiziona sul palco e comincia a salmodiare, tra vampate di chitarra e percussioni che arrivano improvvise. La principale caratteristica del duo è quella di riuscire a dar forma compiuta a una musica che poi in fondo non ne ha una specifica, nel senso che quelli che sembrano abbozzi sono invece idee precise di noise suonato senza scimmiottare chicchessia. Quello dei Father Murphy è di base folk elettrificato all’ennesima potenza, si nutre di scheletri e di strutture scarnificate (perdonate le metafore) che quasi fanno spavento se ti avvicini troppo. Il tutto è chiaramente figlio di una lezione free-form parecchio elaborata, spesso si ha pure la netta sensazione di sentire gli strumenti che vanno per conto loro (è la terza volta che li vedo e riescono sempre a suonare “diversi”, qualcosa vorrà pur dire…). Aggiungo che la dimensione live più raccolta, propria del club sabaudo, riesce a dare alla loro musica la giusta connotazione immaginifica, e non è cosa da poco. Oltre all’ultimo complesso lavoro, se ne escono nel finale con “How We Ended Up With Feelings Of Guilt”, tratto da Anyway, Your Children Will Deny It e, forse stremati dall’esibizione, chiudono senza bis. D’altronde quando si suona a quella maniera e concentrati al massimo le forze possono oggettivamente mancare.
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