Nel corso di un luglio arroventato da Caronte, abbiamo letto una notizia gelida (si fa per dire) come i personaggi mitologici ai quali l’articolo di stampa fa riferimento.
Alcuni archeologi polacchi hanno rinvenuto un gruppo di tombe di «vampiri»: sette scheletri con il cranio in mezzo alle gambe! I resti indicano un’esecuzione rituale che nella tradizione popolare veniva riservata ai bevitori di sangue.
La scoperta è l’ennesima conferma delle feroci superstizioni che hanno funestato la storia dell’umanità. Al pari delle persecuzioni riservate alle donne che venivano accusate di stregoneria, nei secoli passati la sorte di chi era sospettato di vampirismo era spesso terribile: in alcuni casi le persone venivano decapitate; in altri venivano appese alla forca fino a quando la testa non si staccava dal corpo grazie al processo di decomposizione. In ogni caso, i cadaveri dei presunti vampiri venivano sepolti con il cranio tra le gambe, nella credenza che così il vampiro, al suo risveglio, non potesse ritrovare la propria testa...
Questa pratica era piuttosto comune nei Paesi slavi, in particolare nei decenni che seguirono la conversione al Cristianesimo. E la definizione di vampiro fino al Medioevo era molto più ampia di quella che oggi permane nel nostro immaginario: anche coloro che manifestavano di essere ancora legati a riti pagani (perché ad esempio lasciavano cibo sulla tomba dei loro cari) potevano essere accusati di vampirismo!
Come non collegare questo rinvenimento al “Dracula” di Bram Stoker?
Le caratteristiche attribuite ai vampiri sono la fotosensibilità, la sporgenza dei canini e il pallore. Stoker scrisse il suo romanzo nel 1897 mentre – almeno così recita la leggenda - studiava una rara malattia del sangue: la porfiria eritropoietica congenita. Le persone affette da questa patologia possono presentare sintomi tipo la sensibilità ai raggi ultravioletti, canini sviluppati in conseguenza di un difetto enzimatico, pallore legato all’anemia. Si riteneva inoltre che la porfiria ledesse il sistema nervoso, creando stati confusionali e addirittura un coma profondo che in passato poteva essere confuso con la morte (per connessione d’argomento segnaliamo il racconto di Poe intitolato “La sepoltura prematura”). Sembra che Stoker si ispirò a questi casi clinici e li drammatizzò dando vita alla sua opera.
Noi però, di fronte agli orrori compiuti dall’ignoranza dell’uomo, abbiamo voglia di sdrammatizzare: e allora vi rimandiamo a un antecedente e a un erede letterario del Conte Dracula: “Carmilla” di Sheridan le Fanu e “Dracula in love” di Karen Essex.
Bruno Elpis