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faust

Creato il 07 novembre 2011 da Albertogallo

FAUST (Russia 2010)

locandina faust

Dell’opera originale, ahimè, non so proprio nulla. So che è di Goethe, il quale ci lavorò per sessant’anni (dal 1772 al 1831) ispirandosi a un racconto popolare tedesco già al centro di numerose opere letterarie, so che parla di uno scienziato che vende l’anima al diavolo, so che è un gran capolavoro, ma per il resto, come si suol dire, vuoto totale.

Ben poco so, ancora ahimè, anche di Alexander Sokurov, che al dramma di Goethe si è ispirato per il suo Faust. So che è un importante regista russo, so che ha girato il bellissimo Arca russa, so che ha diretto una tetralogia sul potere di cui questo film è il capitolo conclusivo, ma per il resto, di nuovo, vuoto totale.

Non aspettatevi, quindi, approfondite disamine sul rapporto tra poema e film o sulla pellicola in relazione all’opera passata del regista. Aspettatevi però che, nonostante i grandi nomi in ballo e nonostante il Leone d’Oro che questo film si è aggiudicato pochi mesi orsono, io esprima il mio giudizio più sincero. Che in questo caso corrisponde a una sonora stroncatura della pellicola in questione.

Non starò nemmeno a esaminare troppo approfonditamente vicenda, personaggi, fotografia e quant’altro. Questo perché, semplicemente, Faust non offre, a mio avviso, grandi spunti di riflessione, andando a rifugiarsi pigramente nel limbo popolato da quei film d’autore completamente slegati dai gusti del pubblico, brutti per il gusto di essere brutti, noiosi per il gusto di essere noiosi, sgradevoli per il gusto di essere sgradevoli. Non c’è niente che possa definirsi bello, in questi 134 interminabili minuti, niente che possa o voglia coinvolgere emotivamente, niente che aiuti a riflettere. L’unica nota positiva, in tutto ciò, è che Sokurov, credo, essendo in fin dei conti, a detta di molti, un Autore con la A maiuscola, abbia volutamente partorito una schifezza indigeribile. Non so perché l’abbia fatto (forse sapeva che a Venezia, generalmente, vincono film di questo genere?), ma in tutto ciò scorgo un’esplicita volontà. Perché, altrimenti, distorcere le immagini in maniera così volgare, come un qualsiasi principiante appena uscito da un corso di cinema? Perché scegliere attori che non sanno di niente? Perché spezzare sul nascere qualsiasi digressione filosofica ed esistenziale in favore di dialoghi vuoti, banali, inconcludenti? Perché buttarsi su un tanto sciatto approccio antinarrativo? D’accordo, un paio di scene non male ci sono anche (la rissa in osteria, Faust che si tuffa in un mare blu abbracciato alla sua amata Gretchen), e ho pure apprezzato il senso di claustrofobia trasmesso da alcune immagini, quadretti popolati da un’umanità piccola e grottesca che rimanda alla pittura di Bosch e Bruegel, ma in definitiva questo Faust mi ha fatto l’effetto di alcuni (pur diversissimi) film di Godard degli anni Ottanta, sgradevoli, noiosi e altezzosi senza un valido motivo.
D’altronde anche l’irrimediabilmente mediocre Prénom Carmen ha vinto il Leone d’Oro, trent’anni fa. Tutto torna.

Alberto Gallo



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