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L’ultimo film del regista russo Aleksandr Sokurov va a chiudere la quadrilogia sul potere iniziata qualche anno prima ma ancora di difficile reperibilità nel nostro paese. Ispirato all’opera teatrale di Johann Wolfgang Goethe, “Faust” narra il viaggio di un medico, da cui prende nome il titolo, che vaga alla ricerca di conoscenza e risposte sulla vita, guidato da un ripugnante e misterioso traghettatore che non mancherà a rivelarsi in seguito.
Basta pochissimo a capire che il film di Sokurov si porta dietro delle ambizioni più che colossali. A voler essere ancor più maligni, potremmo quasi sospettare che l’intero progetto sia stato costruito “a tavolino” appositamente per tentare un colpaccio come quello riuscito poi a Venezia. La quantità enorme di presunzione che sgorga dallo schermo durante la visione della pellicola, non solo ottiene un effetto contrario a quello desiderato ma arriva addirittura fino a irritare lo spettatore.
Una fotografia verdastra e repellente come la maggior parte dei personaggi che compongono la storia, alcune scene mostrate attraverso uno sguardo altamente deformato (somigliano molto a quelle di un film piratato), sono solo alcune delle scelte che sembrano unicamente idonee a voler rimarcare, da parte di Sokurov, l’essere riconosciuto come autore affermato e livellato. Mezzucci sterili, che i veri grandi autori non hanno mai avuto la necessità di utilizzare per racimolare elogi o stupire il pubblico.
Va da sé, allora, che il regista russo dovrà sudarsela parecchio, qui in Italia, se vorrà convincere un pubblico al quale film del genere rimangono sullo stomaco molto facilmente. La vittoria a Venezia potrebbe dimostrarsi importante solamente per incrementare l’inizio di un affluenza in sala, pronta a scemare appena l’esperienza di “Faust” si rivelerà per quella che è veramente. E così, la fortunata favoletta festivaliera, premiata principalmente per tentare un rinnovamento delle idee cinematografiche, si schianterà con una realtà che difficilmente vorrà rinnovarsi con lei.
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