Molta carta e molta pellicola sono state usate per raccontare gli orrori della guerra, per cercare di insegnare qualcosa a chi non ha potuto, per sua fortuna, vedere da vicino la morte e la disgrazia causate da essa.
Nel campo dei fumetti, Fax da Sarajevo di Joe Kubert è sicuramente uno degli esempi più apprezzati.
Nel 1991 (incidentalmente l’anno durante il quale Art Spiegelman porta a termine Maus) in Europa erano già stati gettati i semi di quello che sarebbe diventato il primo conflitto europeo successivo alla seconda guerra mondiale. In Jugoslavia già tanta benzina era stata versata sul tessuto sociale, a fornire la giustificazione ufficiale alla guerra: i dissapori etnici, che già erano serviti alla bisogna come scusa ufficiale cinquant’anni prima. Di lì a poco sarebbe poi esploso in tutta la sua barbarie il conflitto vero e proprio.
Anche in questo caso, come riguardo all’Olocausto narrato in Maus di Art Spiegelman, lo stesso stratagemma del conflitto etnico, della superiorità di una razza rispetto all’altra, è stato utilizzato per spingere le masse a combattere una guerra che in partenza si è mossa più come ricerca folle di cose rubare, da razziare, da espropriare ai bosniaci.
Nel 1992 prende le mosse l’opera di Joe Kubert, Fax da Sarajevo, che narra le vicende di Ervin Rustemagic, agente europeo nonché amico personale dello stesso Kubert, che manteneva costantemente informato quest’ultimo sulle sue avventure nella Sarajevo assediata. Il racconto di Kubert è emblematicamente in bilico fra documentarismo, arte, creatività grafica e autobiografismo.
Il 21 marzo un fax arriva a casa di Kubert. Un fax che testimonia la volontà di Ervin di tornare nella sua patria, la Bosnia, nonostante sia in corso quella guerra che rimarrà una macchia tremenda e velocemente dimenticata dell’Europa. Una decisione che darà inizio alla sua drammatica vicenda, che Kubert, a mente fredda, decide di scrivere e disegnare, perché non rimanesse, di tutto l’orrore e la disperazione del proprio corrispondente, solamente un monte di carta.
L’autore, raccontando la storia di un amico lontano migliaia di chilometri, improvvisamente si trova a contatto con una realtà che mai avrebbe immaginato: quella guerra e quei tragici momenti di bombardamenti, fughe e sparatorie che credeva dover vedere solo nei suoi fumetti.
La vita a Sarajevo assume presto tutta l’aria di un incubo: i bombardamenti diventano quasi un sottofondo normale, si vive con la consapevolezza dei cecchini, i cui bersagli preferiti sono i bambini, che uccidono per soldi, gli aerei volano bassi per rompere le finestre dei palazzi al solo scopo di terrorizzare chi si nasconde in casa. Erwin Rustemagic provvede raccontare a Joe Kubert tutto quanto gli succede. I suoi fax, prima scritti al computer, poi con la macchina da scrivere ed infine a mano, sono l’indice dell’incedere della guerra civile, ed avvicinano il mondo moderno e civilizzato dei fax a quello di cinquant’anni fa.
Nel frattempo il mondo sembra girarsi dall’altra parte, abbandonando un paese vittima di un genocidio. Vediamo, nelle pagine del volume, come sia possibile da un giorno all’altro, da un mese all’altro, sentirsi stranieri in casa propria, come il condizionamento inflitto da poteri superiori porti i nostri vicini a non considerarci più esseri umani nel volgere di un battito di ciglia, porti gli uomini a massacrare bambini, vecchi ed a creare campi di concentramento.
A Sarajevo ed in Croazia la guerra è entrata sottopelle, scavandosi lo spazio adatto ed esplodendo, raccogliendo gli interessi economici di molti. Il passaggio da piccoli segnali d’avvertimento ai ghetti ed alle deportazioni è sottile e quasi indolore: sembrava fosse soltanto un ridimensionamento dei propri diritti sociali, e si è trasformato in un incubo. L’incubo dipinto nella prima immagine forte di Fax da Sarajevo: una famiglia trucidata mentre cerca di andar via con la propria macchina.
Si passa alla guerra vera e propria in poche battute: in realtà case e terre espropriate ed i soldi rubati ai deportati sono il vero fine della guerra, è quindi esplicito che l’intolleranza razziale non è in alcun modo causa di questi conflitti, come magari indicato nei vecchi sussidiari di tanti anni fa: per quel che riguarda il conflitto jugoslavo poi, come si giustificherebbe il fatto che Karadzic, sanguinario capo dei serbi, sia in realtà montenegrino?
L’intolleranza resta solo un paravento, uno scudo adottato per coprire ciò che abbiamo detto prima. Scudo non solo metaforico: in Fax da Sarajevo, Ervin Rustemagic utilizza pacchi di fumetti come scudo all’interno della sua macchina, per attutire eventuali colpi di arma da fuoco; inoltre dalla casa in fiamme distrutta dai bombardamenti riesce a salvare solo i soldi ed uno Yellow Kid (premio ottenuto anni prima) vinto a Lucca.
Ma Ervin ha una famiglia da proteggere, pur senza sapere come, e non riesce più a lasciare quel paese diventato per lui solamente un posto dove temere la morte, per se’ e per le persone care. Perde la casa, distrutta a cannonate, eppure continua ad andare avanti nonostante la disperazione, nonostante la convinzione strisciante che potrebbe morire. In un susseguirsi di tentativi frustranti, di rari momenti di felicità con il sottofondo delle bombe, Ervin mantiene i contatti con l’esterno tramite i fax, che spedisce in mezzo mondo ai suoi amici e conoscenti, una voce sempre più debole e abbattuta.
Attraverso i suoi fax e la ricostruzione a fumetti dei suoi giorni, noi riviviamo la sua storia. La fine dell’incubo sembra non arrivare mai, fino a quando, grazie ad un pass da giornalista, Ervin non riesce a lasciare Sarajevo, costretto ad abbandonare dietro di se’ moglie e bambini, pur di tentare in prima persona di tirarli fuori di lì. La fine del volume ci consegna un aereo che atterra lontano dalla distruzione e dai colpi di fucile, un aereo che riunisce una famiglia, l’ultima fuga disperata di chi si è trovato di fronte alla parte peggiore dell’umanità.
Fax da Sarajevo è una delle opere più sentite di Joe Kubert; un racconto lineare, dalle cui pagine emerge una forza ed un’angoscia che rappresentano una testimonianza viva e tremendamente convincente della guerra in Bosnia.
Un’opera che “somiglia” ad un fumetto americano nel senso più commerciale del termine: il colore ed i tratti conosciuti (e già amati) dell’autore spesso distraggono la mente, e riportano il tutto ad assomigliare pericolosamente ad un reportage giornalistico del giorno d’oggi (uno di quelli che ormai non suscitano la più piccola emozione in chi lo guarda).
Se per Maus, ad esempio, si è parlato spesso di come possa essere avvicinato ad un documentario d’epoca, Fax da Sarajevo ci rimanda ad un collegamento televisivo con la CNN: i tempi sono cambiati, la guerra non è racconto di anziani, è cosa di tutti i giorni; i bambini la guardano in TV come fosse un cartoon, senza sapere (capire) che tutto avviene in terre vicinissime (che in parte fino a lustri fa erano Italia!).
Nell’opera rintracciamo due scopi principali: il primo è l’educazione alla tolleranza; il secondo potremmo definirlo “culto della memoria”. La tolleranza è incredibilmente scomparsa prima dell’inizio del conflitto narrato; la molla economica che l’ha fatto scattare infatti si è travestita da intolleranza razziale.
Rapidamente la follia si impadronisce delle piccole menti di gruppi di esaltati, non in grado di essere usati da “intelletti malvagi superiori”. Non a caso, quando si tratta di dare ad esse un capo (le cittadine di Knin e Pale, ndr.) si cercano non politici ma psichiatri. Il dottor Jovan Reskovic diventa il capo dei serbi di Croazia, il dottor Radovan Karadzic dei serbi di Bosnia. Sono professionisti (…) che trasferiscono sul piano politico ed etnico il loro mandato clinico di “ripulire” la società dai diversi. Il resto del lavoro lo fanno i preti, spargendo la sindrome della guerra santa, ed i servizi segreti col ricatto. ((cfr. Maschere per un massacro di Paolo Rumiz – Editori Riuniti, 1996)).
Abbiamo parlato di:
Fax da Sarajevo
Joe Kubert
Alessandro Editore, 1999
208 pagine, cartonato, colore – 29,99€
ISBN: 8882850234
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