In Emilia-Romagna, a causa delle scarse donazioni di gameti, 4 coppie hanno richiesto alla Regione il rimborso delle spese sostenute per effettuare la fecondazione eterologa fuori dall’Italia.
Di: RedazioneIn Italia molte coppie che vorrebbero avere un bambino ancora non riescono ad accedere ai trattamenti della fecondazione assistita e in particolar modo a quella eterologa. Per questo motivo in Emilia-Romagna, proprio a causa della scarsità delle donazioni di gameti, negli ultimi tre mesi 4 coppie che si sono trovate costrette a effettuare la fecondazione eterologa fuori dal nostro Paese hanno richiesto di vedere rimborsate le proprie spese da parte della Regione. Questo è possibile perché l’Emilia Romagna ha inserito i trattamenti per la fecondazione eterologa nell’elenco delle prestazioni a carico del Servizio sanitario regionale, cioè nei suoi Livelli essenziali di assistenza (Lea). La notizia è stata data da Maria Paola Costantini, un avvocato legato a Cittadinanzattiva e ad altre associazioni di pazienti.
Le Regioni Campania, Sicilia, Puglia, Toscana, Val d’Aosta, Piemonte e Veneto e le province autonome di Trento e Bolzano hanno deciso di costringere le coppie che vogliono sottoporsi alla procreazione medicalmente assistita (Pma) in strutture pubbliche situate in altre Regioni di attendere prima l’autorizzazione della propria Asl di residenza. Questo perché nelle Regioni in cui la sanità ha conti in rosso non vengono di fatto più concesse autorizzazioni; di conseguenza le coppie si trovano a pagare il trattamento di tasca propria. Toscana, Veneto, Piemonte e Umbria hanno inserito i trattamenti di fecondazione assistita tra quelli a carico del Servizio sanitario nazionale, mentre altre non lo hanno fatto, spesso per ragioni economiche. E’ proprio questo a generare la questione dei rimborsi tra le Regioni.
In Italia continuano intanto le difficoltà nel reperire donatrici di ovuli per la fecondazione eterologa. Secondo la nostra normativa, la donatrice non ha diritto ad alcun rimborso e questo potrebbe essere uno dei motivi che scoraggia le donne a donare. Per donare infatti occorre sottoporsi a un trattamento di stimolazione con gonadotropine per 14 giorni; il prelievo viene poi effettuato con anestesia in sedazione profonda.
Fonte: “la Repubblica”