Il sistema scolastico americano – modello di riferimento per molti pedagoghi nostrani che vorrebbero importarlo in Italia tale e quale –presenta in realtà una varietà di aspetti contraddittori e paradossali che molti studi specializzati fanno emergere rivelandone la complessità. Un primo esempio di ciò è dato da una ricerca del National Center for Education Statistics (parte del US Department of Education) che nel 2009 ha dedicato uno studio statistico al fenomeno del c.d. homeschooling (lett. scuola a casa “o scuola famigliare”), vale a dire quando uno dei due genitori si occupa dell’istruzione dei figli, in prima persona oppure assumendo un insegnante. La scelta dell’homeschooling, in rapido aumento nell’ultimo decennio, è decisamente trasversale poiché riguarda non solo chi non vuole accontentarsi della scuola pubblica ma allo stesso tempo non può permettersi la scuola privata, ma anche chi, pur potendo permettersi la scuola privata, preferisce offrire un’istruzione più libera e personalizzata.
Fra le ragioni alla base di questa opzione, l’88% delle famiglie intervistate cita la preoccupazione per l’ambiente scolastico: non solo droga, violenza, bullismo ma anche classi sempre più numerose, orari prolungati, compiti a casa sempre più impegnativi, forte pressione all’omologazione. Ciò potrebbe confermare il dato tradizionale che vede le scuole americane alle prese con lo scarso successo degli studenti afroamericani e latinos rispetto a quelli bianchi – i colpevoli per eccellenza di violenze e quant’altro, sulla base di un giudizio di valore ormai consolidato, non sono certamente i bianchi! – ma ecco che recentemente anche questo luogo comune viene messo in discussione.
Ci riferiamo essenzialmente ad uno studio condotto da William Jeynes, docente di pedagogia presso la California State University e senior fellow presso l’Istituto Witherspoon. Da questo studio è risultato che il successo scolastico di bianchi, latinos e afroamericani risulta notevolmente condizionato dalla effettiva maturazione religiosa dei soggetti presi in esame. In pratica questo significa che gli studenti appartenenti a contesti sociali storicamente con più difficoltà in ordine alla riuscita negli studi, se conducono una vita di fede effettivamente vissuta in un contesto familiare ed ecclesiale stabile, riescono a ridurre considerevolmente il divario che li penalizza in termini di successo scolastico rispetto agli studenti bianchi. Jeynes ha presentato le sue conclusioni in una recente conferenza alla Harvard University sulla razza e l’istruzione. Lo studio si basa su una meta-analisi di 30 diversi studi di misurazione dei risultati scolastici.
Tutti gli studenti osservati erano coinvolti in una istituzione religiosa, come un luogo di culto o gruppo giovanile, e hanno sottolineato l’importanza della fede nella loro vita. Per famiglia stabile si intende quella con due genitori biologici o aventi un alto tasso di coinvolgimento dei genitori nella formazione dello studente. Quando questi due fattori sono presenti, lo studente di colore o latinos riduce di gran lunga il divario con i pari età bianchi, mentre la presenza di uno solo di essi non contribuisce a ridurre le distanze. La conclusione a cui giunge Jones è di assoluta importanza e di stringente attualità: se un bambino ha già un alto livello di religiosità, gli insegnanti e gli educatori dovrebbero far leva su questo aspetto per incoraggiarli nel processo di apprendimento-maturazione integrale della persona, senza che questo debba essere considerato per forza come una mancanza di rispetto per le coscienze di coloro che invece non palesano questa dimensione di vita.
Questo studio darà sicuramente adito a molte discussioni, ma ha il merito di ricordarci la centralità del ruolo svolto dalle agenzie educative “storiche” quali la famiglia e la chiesa, le stesse che malgrado gli attacchi provenienti da più parti risultano pur sempre insostituibili nella crescita integrale degli uomini.