Avendo ascoltato, casualmente, l’intervento incredibile di Emilio Fede a “Zapping” e meravigliato di come il mezzo radiotelevisivo sia stato utilizzato per diffamare lo scrittore Saviano, ho cercato su internet il video del TG4 in cui il famoso giornalista aggredisce lo scrittore prendendo a pretesto la polemica contro il film di Sabina Guzzanti. Sono rimasto stupefatto e amaramente colpito dalla violenza che trasudava dalle parole di Fede. Che storpiava il titolo del film come se non si sapesse come pronunciarlo e faceva finta di non ricordare il nome della regista. Mezzucci da rissa da bar dove si tenta usa l’arte della denigrazione dell’altro negandogli perfino la dignità del nome, per far capire che è meno di niente, infima materia che non varrebbe nemmeno la pena di prendere in considerazione. Se non fosse che bisogna eseguire l’ordine del capo che è di annientare chi osa usare “la parola” per dire ciò che se non fosse detto verrebbe gridato dalle stesse pietre.
Mi sono detto: come mai uno che passa per essere la voce del presidente del consiglio si agita tanto contro scrittori e registi? Credo sia un’evidente reazione da panico. L’aggressività, infatti, è l’istintiva reazione di chi ha paura e non vede possibili vie d’uscita da una situazione che lo angoscia. L’angoscia di chi si crede potente e scopre la sua irrimediabile vulnerabilità e nel tentativo di dissimularla diventa aggressivo e rabbioso. Ma paura di che cosa? Della parola detta nella verita. Chi ha fatto della parola uno strumento per il potere e l’usa ogni giorno asservendola ai bisogni del potente, corrompendola in modo ingannevole e strumentale, ha terrore di chi impugna la parola limpida e incorruttibile della verità. Trema quando incontra chi semplicemente usa la parola con onestà e senza secondi fini, non per asservire ma per liberare. Non per il proprio tornaconto, ma solamente perchè l’imperativo morale che lo possiede l’obbliga a farla conoscere a tutti. Da quella parola incorrotta il potere e i suoi turiferai si sentono profondamente minacciati, poichè essa mette a nudo la miseria della parola adulterata e mina nelle fondamenta il potere stesso che si sostiene sulla menzogna.
Per assurdo, allora, la reazione rabbiosa e isterica del giornalista del TG4 rappresenta proprio la più sicura testimonianza che la parola di Saviano nasce e si nutre della fedeltà alla verità. Essa ha inciso “come lama impietosa” il bubbone purulento degli inganni su cui in Italia si radica certo potere politico ed economico, squarciandolo. Se fosse stata falsa, il potere l’avrebbe accolta come cosa sua e non se ne sarebbe preoccupato più di tanto. Semmai sarebbe bastato semplicemente offrire un prezzo per il silenzio; gli uomini di potere hanno un prezzo, gli uomini della verità no!
Nessuno possiede “la verità” ma l’uomo è tale solo se le sue azioni si svolgono “nella verità”. Chi agisce contro potrà essere ricco, potente, influente, osannato, ricevere omaggi e prosternazioni, ma non potrà mai sentirsi “un uomo amato“. E il primo a saperlo è proprio il potente il cui maggiore dolore risiede proprio nall’amara costatazione che tutto il suo potere non è in grado di procurargli neppure un infinitesima quantità di quella stima, gratitudine, e amore, che solo se donato e accolto gratuitamente può dare la felicità e che molti uomini danno e ricevono proprio perchè umili e semplicemente uomini. La parola limpida squarcia il pesante manto di menzogne con cui i potenti cercano di mascherare la verità che il potere denudato è fatto “dal nulla“. Eccolo il terrore che ho visto in faccia al giornalista di TG4 che spiega la violenza delle sue parole perchè se la verità brilla incorruttibile, si spera sempre di farla tacere colpendo chi l’ha proclamata. E la denigrazione è l’arte che nel nostro paese spesso ha preluso a più terribili soluzioni.
Ma la qualità tremenda della parola è che, sia essa buona o cattiva, quando è stata proclamata vive di se stessa, e si diffonde come il vento che non sai di dove viene né dove va. Allora forse la denigrazione di Saviano e della Guzzanti ha come scopo quello di far si che altri, per paura, non si fermino ad ascoltare quel vento o facciano finta di non sentire.