Magazine Diario personale

Federico Niente posted by Federico Cervigni

Da Parolesemplici

Federico Niente posted by Federico CervigniC’era una targa in ottone allato del portone. Diceva: DOTT. T. TAGLIO. ORECCHIE NASO E GOLA. Nessuno aveva avvertito il Dott. Taglio che sarebbe diventato uno dei miei idoli. Con quel cognome. Non so quale fosse il suo nome di battesimo…con la T, che ne so…mettiamo Terenzio.Dott. Terenzio Taglio. Non sarebbe successo niente, no? Non l’avrei neanche notato. Oppure, Dott. T. Taglio. Otorinolaringoiatra. Che c’era di strano? Niente. E invece no. Perché dietro a questa storia c’è un genio; e i geni trasformano la normalità in bellezza. Vi prego leggete quella targa così com’era scritta: Dott. T. Taglio. Orecchie naso e gola. Cioè, il dottore TI TAGLIA le orecchie il naso e la gola. Un criminale. Una minaccia. Poteva scriverla in maniera diversa? Assolutamente no. C’era un destino in quel cognome. E quell’insegna esiste sul serio.

Pagine utili:

RENATO CONDOTTI. IDRAULICO

DOTT.SSA E. MELOMETTI. GINECOLOGO

DOTT. ALFIO SCAVANTE. PSICOLOGO

AVV. S. PROTOCOLLI. NOTAIO

Annunci di lavoro:

SIG.RA L. INSEGNO. PER RIPETIZIONI

MARGHERITA DISPONIBILE. 20 ANNI, ACCOMPAGNATRICE. NO PERDITEMPO.

GUIDO SICARI. ASSASSINO MERCENARIO

Elenco telefonico:

CESARE IMPERATORE. VIA ROMA, 15

GIANNI TUTTOILMONDO. Ecco, qui siamo di fronte ad un’altra genialata: il sig. Tuttoilmondo. Non lo sto inventando, esiste. Lui va al lavoro e la moglie che magari chiama in azienda:

- Buongiorno, sono la moglie di Tuttoilmondo.

- Come posso aiutarla?

- Vorrei parlare con mio marito.

- Attenda in linea, vado a chiamare Unoqualunque.

Anche la nostra storia comincia con una targa e un nome inciso sopra. La storia di: FEDERICO NIENTE. PERDIGIORNO DISOCCUPATO. O almeno una piccola parte della sua storia.

Una storia scema scema, per carità. Non state ad aspettarvi insegnamenti.

Quindi c’è la targa, affianco il portone, dietro l’androne, due rampe di scale; porte chiuse, salendo; poco rumore; un’altra porta, quel nome scritto sul campanello. Sono le ore 15:00. Dietro la porta d’ingresso c’è un corridoio, alla fine del corridoio una porta sulla sinistra, la cucina. No, scusate la cucina non c’entra nulla. Porta a destra, stanza semibuia, camera da letto, quindi..il letto. Lui dorme ancora, alle tre del pomeriggio, il cuscino è bagnato di bava.

In corridoio, sul mobiletto, il telefono prende a squillare, ragliare, saltellare. Insiste. Federico apre gl’occhi -cheppalle-, si alza con mooolta calma e un filetto di saliva segue l’angolo della sua bocca fino a staccarsi per tornare a dormire sul cuscino. Lui guarda quella chiazza viscosa e un po’ l’invidia. Trova la ciabatta sinistra e la infila nel piede sbagliato, dell’altra neanche l’ombra. – E muoviti! Il telefono. Barcolla con le gambe piegate e senza staccare mai i piedi da terra e con le braccia inanimate e la mutande a metà culo e risponde:

- Pronto.

- Sigor Niente?

- Temo di sì.

- Hmmm, mi avevano avvertito del suo senso dell’umorismo.

- C’è poco da scherzare nell’essere me.

- La chiamo dalla banca popolare di ***.

- Già.

- Sa perché la sto chiamando, vero?

- S-sì, cer…mi scusi un attimo.

Poggia la cornetta e corre, per modo di dire, in bagno. La tavoletta è aperta, sennò mica faceva in tempo. Si inginocchia e rende culto al cesso, sbocca. Vomita. E vomitare fa sempre schifo. C’è una mezza bottiglia di vino bianco, la prende e la porta alla bocca e dà una bella sorsata. Si guarda nello specchio mentre con le guance che pulsano come un cuore artificiale, gonfiandosi e sgonfiandosi,  si sciacqua la bocca e i denti col vino. Poi inghiotte il tutto e rimane ancora a guardarsi. Senza provare niente. Profilo destro, profilo sinistro. Le basette sono asimmetriche, un lavoro da cani; Alfredo è un’incapace. – Devo tagliarmi i peli del naso.

Si ricorda del telefono. Ritorna in corridoio e mentre si avvicina al mobiletto, dalla cornetta esce una voce:

- Signor Niente, c’è ancora? Signor Niente…

- Massì, eccomi, ero andato a vomitare.

- Lei mi sta facendo perdere un sacco di tempo.

- Mi dispiace.

- Non faccia lo spiritoso. Lo sa perché la chiamo?

- Certo.

- La banca, signor Niente, non è un istituto di carità. Noi non abbiamo intenzione di prorogare ulteriormente BLA BLA BLA avvallando un così indegno comportamento su e giù, questo e quello, la banca pretende che BLA BLA BLA…perché lei aveva eccetera eccetera…

Federico vede un giornale pornografico sulla mensola. Allunga la mano. Lo apre sul mobiletto e comincia sfogliarlo con fare annoiato leccandosi la punta delle prime due dita, come fa la nonna. Porno-grafia. Uomini e donne, uomini con donne, uomini con uomini, donne con donne, donne con oggetti, donne con cani, cani con uomini, cani con oggetti e donne. Avvinghiati come erbe rampicanti al balcone delle umane perversioni, in posizioni che lottano contro le leggi fisiche e morali.

- La banca, signor Niente, le intima l’immediato BLA BLA BLA…poiché non ha dato il minimo intendimento alle precedenti…AAAAAH!

Poi le espressioni. Dei giornali porno. O fanno laccia di chi sta godendo un casino, oppure, e questo è il massimo, fanno la faccia felice. Donne appoggiate al lavandino, con la gamba destra intorno al proprio collo, i muscoli delle braccia tesi allo spasmo per reggere, oltre al proprio peso, quello di un negroneignorentesuperdotato con-catena-d’oro-da-quindici-kili…e hanno la faccia felice. Non contenta, felice. Poi, dopo l’ultimo scatto, le espressioni tornano ad essere depresse, si fanno una doccia, salutano i colleghi e tornano a casa a guardare la televisione col gatto sulle gambe che fa le fusa. Almeno lui vuole solo carezze.

- La banca, signor Niente, da molto tempo ha capito che…XXXXX…eccetera eccetera…la sua condotta disdicevole le ha precluso la possibilità…BLA BLA BLA…signor Niente? Mi sta ascoltando?

- Certo, certo.

Una donna se ne sta a cosce aperte in una foto che occupa due pagine del giornale. Una gamba nella pagina di destra e l’altra nella pagina di sinistra. Fissa Federico negl’occhi, sempre con quell’espressione in viso. Lui con la penna le schizza una barbetta da professore, poi un neo giusto tra il naso e le labbra, poi un paio di corna, le infoltisce le sopraciglia e le allunga le basette fino a metà guancia. A-simmetriche. Poi le fa una collana di perle che scende in mezzo al seno e gli orecchini a forma di croce e un pugnale conficcato nel cuore e sangue. La carie sui denti, una benda da pirata, una cicatrice in fronte e poi un paio di ali da angioletto, e un gatto che le fa le fusa, e a lui viene un po’ da piangere per lei, per se stesso, per quello stronzo al telefono, per il vino che è quasi finito. Piangere è un dono. Chi non ha lacrime dovrebbe vergognarsi.

- La banca, signor Niente, ritiene di non dover…PE-PE-RE-PE-PE-PEE…e come lei ben sa…SSSSSSTT.

Silenzio cazzo!

Lacrime. Sguardo in forma liquida. Anima che sgocciola qua e là. Spremuta di te stesso. Federico piange, dagl’occhi agli zigomi al mento al giornale. E le sue lacrime diventano le lacrime di quella ragazza; a gambe spalancate, con corna e ali e sorriso e pianto. E, Dio, com’è bella. Com’è imperfetta. Lui si abbassa su di lei e la bacia in bocca, in fronte, sulle guance; e il sapore è quello salato della vita, del mare e delle lacrime. E se ne sta così: con la cornetta attaccata all’orecchio, chinato in avanti, con la bocca appiccicata al giornale. A singhiozzare. La tristezza è forse il più stronzo dei talenti.

L’immagine di quell’uomo al telefono, che seppellisce i propri genitori, che eiacula in un preservativo, che addobba l’albero di natale, che è uguale a lui.

- Signor Niente…ma…che fa piange?

Federico attacca il telefono. E beve da quella bottiglia e singhiozza e manda giù e si sbrodola. Il vino è finito. Può tornare a dormire. Amen.

Dopo che ti hanno svegliato tornare a letto non è più la stessa cosa. Ti rigiri in una trappola di cotone e la depressione ti violenta. Occhi chiusi, occhi aperti; tenti d’ignorarti ma ci sei sempre, attaccato a te stesso, alla tua carcassa, al tuo cadavere. Vorresti solo dormire. Lui vuole solo dormire. Lasciarsi stare per un po’ e sognare di svegliarsi diverso, senza quel peso nel petto, quella cosa sensibile, frignona. Quell’incrollabile essere se stesso.

Vola una mosca, lo guarda e scodinzola, qualche clacson in lontananza. Fastidio. L’armadio lo guarda, l’orologio lo guarda, il soffitto lo guarda, tu lo guardi, io lo guardo, tutto il mondo lo guarda ed è come essere trafitto da mille schegge. Sospesi nel silenzio, quegli sguardi, si aspettano qualcosa da lui. E lui non fa Niente, vuole solo dormire. Alzati ti stanno guardando. – Lasciatemi stare in Pace. Non vorrai rimanere lì tutto il giorno? – Devo riposare, sono stanco, peso troppo. Stai parlando da solo, lo sai? – Andatevene!

Il pesce rosso galleggia sun fianco nella boccia di vetro. La morte è sempre a portata di mano. Anche la follia. Persino l’amore.

Federico non si muove, è immobile, respira sempre più piano, cerca di essere sempre meno e tra poco qualcuno verrà a cercarlo, lo chiamerà al telefono, vorrà parlargli. È inaccettabile. Perché sì. Perché è in un cunicolo che si restringe sempre di più, fino a non potersi più muovere. E ce l’ho messo io, lo so. È una forma d’odio anche questa.

Si gratta un polpaccio e sotto le unghie sente quei tessuti, così maledettamente umani, così veri. E la verità non ha pietà. Non ha titubanze, non ha mai dubbi. Federico è solo e neanche desidera il contrario. Siamo tutti qui a guardarlo e lui non sta facendo Niente. Nessuno sta facendo niente. Chiamatelo destino…vi prego dategli un nome.

 

Io vorrei cambiare le  cose, ma non posso; non credo. Non me la sento. Potevo metterlo in qualsiasi altro luogo, lo so. Ma ora è tardi. Lui esiste così com’è ed ha un destino da rispettare. Nessuno può farci niente.

 

È una fitta in una parte del cervello che nessuno ha ancora mai visto. Un sapore di roba chimica in bocca. Un crampo allo stomaco che lo accartoccia come una foglia secca. È il bere, il fumare, l’aver lasciato morire il pesce rosso. È la misantropia, che ti entra dentro silenziosa come un bisbiglio, come un rosario, che gli si rintana dietro gli occhi. È il Niente, ed è come essere impalato suna torcia accesa.

Si può perdere il contatto con la realtà, oppure si può avere l’esatta percezione della realtà. Una delle due si chiama follia, l’altra disperazione.

- La cura per la disperazione è la follia. Perché ci insegnano il contrario?

Ma stai zitto tu, che cosa ne sai? E alzati da quel letto, stupido. Ti guardano.

- Perché mi stai facendo questo?

- Non rispondi?

- Allora?

Il fatto che tu mi ponga questa domanda significa che non capiresti la risposta.

- Beh sta a vedere.

Federico si alza. Va nel corridoio, torna indietro, torna nel corridoio. Va in cucina, apre cassetti e credenze e frigorifero e poi prende una sedia e ci si mette in piedi e tira fuori dal lampadario una bottiglia di rum ancora chiusa. Taglia con l’unghia il sigillo, svita il tappo, lo butta dove vuole, gli trema la meno, prende il bicchiere, ci versa il rum, se lo scola e si sente meglio.

Tutto qui?

- Dammi tempo.

C’è una cucina, un uomo in mutande è seduto con i piedi appoggiati sul tavolo, con un bicchiere in mano e non guarda Niente. Non ha un solo motivo, non è necessario né veramente superfluo. Beve, semplicemente, e si infila un dito nell’ombellico e ne tira fuori una pallina di lana o cotone, o di angoscia; e lo tiene schiacciato con due dita, quell’ammasso, quel groviglio illogico di qualunque cosa sia, foss’anche il suo intestino, che non è diverso dai programmi in tv o dal freddo o dai telegrammi di condoglianze dei parenti che non hai mai sentito prima. Quella pallina significa tutto un universo, la corporeità fondamentale, la sostanza base da cui tutto prende forma: Niente. Niente avvolge il mondo, niente lo fa muovere, niente ci fa vivere e sperare. Pensa quell’uomo. Ed è come non pensare affatto, pensa. Ossia Niente. E anche tutto; e sono davvero la stessa cosa. Un massimo ed un minimo, una negazione ed il suo contrario. Misantropia, bioterrorismo al tg, ali d’angelo e corna di demone. Sensazione schiumosa e biancastra nel cervello. Follia o disperazione? E una pallina di lana, che sembrerebbe avere un qualche motivo, che si può toccare e tenere tra le dita ed è una cosa vera; esiste, ma è Niente. Come lui, come i tessuti del suo polpaccio e il rum che scende e brucia la gola. E non è neanche tristezza, ma è vita.

- Perché mi stai facendo questo?

Stai parlando ancora da solo.

Si tira su dalla sedia ed è ubriaco. E ancora si attacca alla bottiglia e quel contatto gli fa schifo, toccare quella materia, che esiste e che la puoi sentire, liscia e fredda e vera e Niente. E che quando gli cade dalle mani fa rumore, si rompe e si trasforma in altro Niente; che ancora puoi sentire e camminarci sopra e tagliartici i piedi. Federico ha milioni di piccole schegge di vetro conficcate nel piede e perde sangue, che si mischia col rum a terra.

Sotto casa c’è gente. Sono tutti ammassati a poca distanza dal portone e guardano in su.

Mangiano patatine e bevono cocacola fumando sigarette.

È il pubblico di sempre, che aspetta sempre che accada qualcosa. Lo incontri nei cinema, alle feste dell’unità, nei teatri, con patatine e cocacola, che aspettano l’inizio e lo svolgimento di qualunque cosa. Sono sempre ammassati, per tuta la vita, hanno sempre qualcosa da masticare e bucce da sputacchiare e le stesse battute su cui ridere sempre, ancora. Li vedi alle sfilate folcloristiche; dove succedono incidenti; sono alle tue spalle quando dai un esame, attorno a te quando muori. Li trovi accalcati quando c’è qualcuno che litiga o una scena d’amore, e sono sempre pronti a succhiarti 5 minuti di vita, con le dita sporche del sale delle patatine, la macchinetta fotografica e secoli di spuntini ficcati tra i denti. E aspettano.

Federico cade in ginocchio e a terra c’è confusione tra vetri, rum, sangue, Federico. Si china ancora fino a toccare con la fronte a terra e annusa tutto questo, a occhi chiusi. Poi tira fuori la lingua e lecca l’alcol con le schegge ed il suo stesso sangue e inghiotte tutto e non fa male perché è solo vero ma non è Niente.

Sono le quattremezza del pomeriggio ed è quasi l’ora.

La gente sotto casa si domanda, ma che ora è? Perché non succede Niente? Sputacchiandosi.

Lui è ancora in ginocchio, faccia a terra. Con la coda dell’occhio vede sotto il tavolo un giornale, un quotidiano, “Il Destino”. Non ricorda di averlo comprato, quel giornale, perché è lì, affianco a lui? Guarda la data: è roba vecchia, di due settimane fa. E gli sembra, più o meno, di ricordare qualcosa a proposito, che l’ha trovato, forse, non si ricorda dove e immagina che probabilmente l’ha portato a casa chissà perché. Il Destino di due settimane fa.

Non prenderlo quel giornale, dammi retta.

- Sei ancora qui? Vattene.

Lo prende, se l’avvicina e lo apre a caso, perché è così che si fa col Destino.

La gente sotto casa si domanda, ma quanto ci mette? E sono sempre di più. Tanti.

E il Destino si apre alla pagina delle inserzioni e il Destino gliene fa capitare una bordata di rosso, davanti agl’occhi: ANTONELLA PREVISTO. CHIAROVEGGENTE. Lettura dei tarocchi, filtri d’amore e protezione contro il malocchio. Ricevo su appuntamento. Telefonare al numero…

La vita ci guarda a bocca aperta: a volte ci stupisce, ma solo perché non sappiamo quanto noi stupiamo lei.

- See, belle parole, ma ora finiscila, vai via.

E va bene, basta così.

Antonella Previsto. Una volta alla settimana mette un annuncio sul Destino.

La gente sotto casa si domanda, hai portato i popcorn?

Sotto l’annuncio fa sempre scrivere una previsione e la poi sua firma. Quello che accadrà. Tra un anno, un mese, due giorni, per far vedere che lei è in gamba.

Federico legge: il giorno 27 del corrente mese un uomo si ucciderà gettandosi dal balcone della propria abitazione, in via ***, al numero 3.

Lui si alza e apre la finestra. Applausi. Migliaia di persone che lo guardano e fischiano e battono le mani, creando un polverone di sale, lo amano. Uno striscione dice: fallo. La gente grida: so-tto, so-tto, so-tto. Lui sale sul davanzale. La gente dice: è in mutande, guardate. Dai scatta, scatta. Lui apre le braccia come le ali degl’angeli. La gente sotto casa fa il tifo. Lui si lascia andare e cade, e cade, e muore.

Applausi, grida. Grazie, grazie, no, non è Niente, davvero, così mi emoziono, non è Niente. Grazie. Grazie.


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