Torre del Mangia e Duomo
Siena è come tante strisce dritte di tetti e di facciate, della stessa altezza; che si alzano invece all’improvviso dove le case vengono più in fuori, pigliando un poco di poggetto. Ma San Francesco e Provenzano, con spicchi di case in mezzo, da un’altra parte della città, taglierebbero quelle strisce quasi ad angolo retto se in quel punto la pendenza non fosse più ripida.E le mura della cinta, trattenute dalle loro torrette smozzicate e vuote, lasciano un gran spazio libero; venendo fin giù alla strada; come una corda allentata.Poi, la strada gira troppo sotto la cinta; e Siena non si vede più ma dopo un poco ritorna; con le case ammucchiate alla ridossa.E la Torre del Mangia pare che si spenzoli, su alta nel cielo, dalle mura. Il cavaliere disse: «Si volti a vedere com’è bella la nostra Siena!».
[…] Lo portò a guardare Siena; dal muricciolo della Fortezza. Gli disse: «Venga a vedere come, a quest’ora, i colori sono più belli che la sera. Io me ne sono convinto venendo qui la mattina e il giorno». Viene subito alla vista un gran rigonfio di case; e, dentro, la Cattedrale.
Fontebranda e Basilica San Domenico
In Fontebranda, le case invece si biforcano, lasciando in mezzo uno spazio vuoto. Stanno come attaccate e schiacciate sotto la Cattedrale; a strapiombo su gli orti e su la campagna. Poi si abbassano sempre di più fino a sparire, sotto una balza; e allora si vedono soltanto i tetti. Quelle più grosse reggono le altre; e non è possibile capire dove sono le vie; perché le case paiono separate l’una dall’altra da spacchi e da tagli quasi bizzarri, alla rinfusa; a crocicchi rasenti, contrari, di tutte le lunghezze e di tutte le specie. E i tetti, in quelle picce e in quegli arrembamenti, in quelle spezzettature di ogni forma, sono sempre più rari di mano in mano che le case si spargono per le chine. La campagna era d’un’ampiezza, che non finiva mai; e Siena, in quel silenzio, quasi taciturno ma soave, sembrava tutta raccolta in se stessa e inaccostabile. Mentre le cime più lontane, fino alle Cornate di Gerfalco, si sbandavano e riempivano l’orizzonte sperduto. Giulio guardò con avidità: non mai, come allora, aveva amato la sua Siena e ne fu orgoglioso.