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FEFF 13 – speciale_giappone (parte II)

Creato il 16 maggio 2011 da Eda

Ultimo appuntamento con gli speciali sulla tredicesima edizione del Far East Film Festival con la seconda parte dei film giapponesi in programma; sorprese, delusioni e una scoperta.

FEFF 13 – speciale_giappone (parte II)

THE LIGHTNING TREE di HIROKI Ryuichi
Giappone, 2010, 133m  voto:  ★★½ /4

A prescindere dal fatto che qualsiasi film in cui compaia la delicatezza, la bellezza e la bravura di Aoi Yu, non può essere poi così male (ha all’attivo un’altra grande prova in quel Hula Girls citato nel post precedente), Hiroki riesce a fare centro nel difficile bersaglio del dramma amoroso in costume. Il regista, una vita passata nel mercato del V-cinema e dei soft porno, solo nell’ultimo decennio è riuscito a ritagliarsi il proprio posto in un circuito più commerciale sfornando ottimi lavori come Vibrator, It’only talk e il buon Your Friends, presentato proprio a Udine due anni orsono. Qui è alla prima prova con il jidaigeki (film in costume), ma il film è lontano dal classico cappa e spada, difatti le scene d’azione sono secondarie ed estremamente contenute. Si tratta piuttosto di una sorta di ibrido tra La Principessa Mononoke e Romeo & Giulietta, nel quale una ragazza allevata (è il caso di dirlo) lontana dalla civiltà da un uomo dei boschi si innamora di un giovane, figlio dello shogun, depresso e malinconico, in fuga dalla rigidità di palazzo. La differenza di rango tra i due, dopo un primo periodo di spensieratezza, si farà sempre più ingombrante andando ad influire pesantemente sul loro rapporto. Aoi Yu [nella foto potete vedere come sia credibile anche con un mocio in testa e una tovaglia per vestito, nda] è splendida nell’interpretare questa sorta di spirito libero, combattivo e sgorbutico – tanto da venir scambiata per un demone della foresta dagli abitanti del vicino villaggio – e rendere l’apertura del suo cuore ad un sentimento sconosciuto senza però stravolgere il personaggio. La storia procede per clichè ed è piuttosto prevedibile, ma la forza del film non risiede qui, nè nella ricostruzione storica, comunque  verosimile, bensì nella bravura del regista nel tratteggiare così pudicamente e con tale vibrante forza emotiva, lo sbocciare e l’evolversi di questo amore adolescenziale. Grazie anche ad un’ottima fotografia ed un uso intelligente della colonna sonora, molte sono le scene che rimangono impresse e, nonostante il loro alto contenuto melodrammatico, non risultano affatto pesanti, nè eccessivamente mielose, toccando anzi vette di poesia romantica solitamente difficili da raggiungere senza cadere nel cattivo gusto o nell’eccesso di melò.

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YAKUZA WEAPON  di YAMAGUCHI Yudai & SAKAGUCHI Tak
Giappone, 2011, 106m   voto:  ★½ /4 

Qui lo dico e qui non lo nego: il Sushi Thypoon, serie di film prodotti dalla Nikkatsu per il mercato nordamericano, ucciderà la percezione del cinema giapponese in occidente. Obiettivo di questi film è infatti quello di fornire al pubblico europeo/americano tutte le esagerazioni che ci si aspettano dal “quel pazzo, pazzo” cinema nipponico. Se alcuni risultati sono divertenti e discretamente originali, come nel capostipite Machine Girl, il filone inizia già a mostrare la corda. Il film è exploitation allo stato puro, tutto giocato sul bizzarro, sul grottesco, sulle esagerazioni pulp in salsa di soia, esibendo con orgoglio gli effetti speciali low-budget e un comparto tecnico di grana grossa. Sakaguchi Tak, sigaretta perennemente accesa in bocca, sfoggia tutto il suo repertorio di arti marziali combinate nelle incessanti scene di lotta che però non destano grande impressione nè per coreografie, nè per originalità. Carina l’idea alla Bruce Lee del palazzo con un boss per ogni piano, la presentazione dei cattivi viene fatta proprio come fosse un videogioco, peccato però che Sakaguchi decida di radere al suolo il palazzo con la dinamite e privarci di incontri potenzialmente epici. La sceneggiatura, se così vogliamo chiamarla, è tratta da un manga, ma sembra piuttosto un derivato di Full Metal Yakuza di Miike [avete notato quante volte è stato citato negli ultimi post pur non essendo presente nessun suo film? Questo magari può dare la dimensione della sua influenza su certo cinema giapponese contemporaneo, decisamente maggiore rispetto a quella di autori più blasonati come Kitano o Tsukamoto], a sua volta sorta di rielaborazione/parodia di Robocop. Un figlio di un boss yakuza torna in patria e trova il suo clan soppiantato dal malvagio ex braccio destro del

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la donna-cannone

capo; procede quindi alla sistematica eliminazione di chiunque gli si pari davanti per salvare la sua bella rinchiusa in cima ad una torre (davvero!), sfruttando i mini-cannon che una sorta di ridicola CIA giapponese gli ha installato su braccia e ginocchia per sconfiggere i cattivi. Si arriva così allo scontro finale con la sua nemesi (una volta migliore amico), il quale usa la sorella morta come lanciarazzi (vi metto la foto anche se senza vederla in azione non rende l’idea; basti sapere che tutti gli orifizi vengono utilizzati come bocche di fuoco, con una “mossa speciale” memorabile). Quest’ultima è l’unica trovata divertente e assolutamente polically uncorrect di un film altrimenti scialbo, senza idee e neppure così divertente come prometterebbe, ma che semplicemente cerca di consolidare il repertorio di perversioni giapponesi entrate nell’immaginario collettivo occidentale, come quando la promessa “sposa” del nostro eroe viene rapita e vestita da liceale con tanto di treccine. Chi conosce la lingua può, almeno, godersi un pò di kansaiben davvero sporchissimo. 

Dalla retrospettiva sui pinku eiga:  

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INFLATABLE SEX DOLL OF THE WASTELANDS di YAMATOYA Atsushi
Giappone, 1967, 85m   voto:  ★★★½ /4

La seconda parte, almeno una mezz’ora di puro delirio anni sessanta, vale tutta la fama che questo film misconosciuto e invisibile (un grazie immenso al Far East per averlo portato al festival!) si è guadagnato tra quei pochi che sono riuscito a vederlo. Yamatoya è prima di tutto uno sceneggiatore fenomenale, basti guardare il suo curriculum dove figurano alcuni dei migliori film di Suzuki Seijun (La farfalla sul mirino) e Wakamatsu Koji (Joji no rirekisho, il suo primo capolavoro, sotto lo pseudonimo Otani Yoshiaki), oltre ad alcuni degli esiti più felici tra i pinku eiga/roman porno degli anni settanta. Come regista è stato autore di pochi e strani film, tra i quali questo Inflatable sex doll è il miglior risultato. La pellicola ricorda per alcuni versi il sopracitato film di Suzuki, girato subito dopo, con il quale condivide la figura del protagonista, un sicario ingaggiato per un lavoro, ma inseguito da altri sicari, in una fitta trama di tradimenti e doppigiochi dall’esito imprevedibile, dato che in questo genere di pellicole, spesso nichiliste, i registi non si facevano alcuno scrupolo a far crepare protagonisti e comprimari in maniera tanto repentina quanto violenta. E’ quando si palesa l’assoluta non linearità narrativa, con la frammentazione in più livelli temporali e spaziali, che il film diventa un viaggio in una menta umana sotto acido, nel quale l’eclettica regia di Yamatoya gioca coi simbolismi (tanto da ricordare Terayama Shuji nell’incipit) e le trovate visive surreali (la carne putrefatta, l’albero abbattuto), costruendo un film dalle tinte oniriche e lisergiche anche grazie all’uso di una colonna sonora free-acid-jazz tipica dei Sixties (genere usato spessissimo anche da Wakamatsu con gli Yamashita Trio). Inflatable sex doll of the Wastelands, titolo criptico quanto il film, è uno di quei diamanti grezzi sepolti sotto la sterminata produzione erotica giapponese che negli anni sessanta/settanta ha partorito opere avanguardistiche dal punto di vista tecnico, oltre che critiche e provocatorie sul piano sociale.

EDA


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