Na xie nian, wo men yi qi zhui de nu hai, Taiwan, 2011, 110 min.
Voto: ★★/4
Interessante debutto alla regia dello scrittore taiwanese Giddens che si cimenta qui con la commedia romantico/adolescenziale dimostrando spirito ed ironia. Basato sulla sua esperienza autobiografica, ripercorre l’adolescenza di Teng-ko dal liceo all’università, tra il suo gruppo d’amici e l’amore per la bella Chia-yi, secchiona della classe che lo porterà sulla “buona strada”. L’approccio di Giddens è decisamente pop, tutto basato su situazioni paradossali e gag slapstick molto spesso riuscite, un ritmo che raramente perde colpi, una colonna sonora di pop asiatico particolarmente calzante e scelte stilistiche già mature per un debuttante. A volte il tutto appare un po’ artificioso e dimostra le maggiori pecche nel delineare la parte romantica della vicenda. In un film evidentemente consapevole del suo essere alternativo se non addirittura provocatorio (si vedano le esilaranti sessioni di masturbazione con i compagni universitari), il tenero amore adolescenziale tra i due protagonisti è descritto in maniera fin troppo tradizionale e senza sussulti, per altro affetto dalla fastidiosa sindrome tutta orientale dell’impossibilità di espletare il proprio amore.
Mo-bi-dik, Corea del Sud, 2011, 112 min.
Voto: ★★/4
Oltre che maestri della commedia, i coreani stanno sviluppando una solida tradizione anche nei thriller, tanto da poter essere considerati secondi solo ai prodotti di Hong Kong. Qui l’esordiente (è una delle note di merito del FEFF quello di dare notoriamente spazio a interessanti registi alle loro prime produzioni) è Park In-Jae che confeziona un interessante thriller politico virato sul versante giornalistico, un po’ come il recente State of Play. Nel 1994, un periodo molto caldo per la Corea del Sud, un trio di giornalisti capitanati dal bravo Hwang Jeon-min, scopre che dietro all’esplosione di un ponte che ha provocato tre vittime, si cela molto di più di un attacco terroristico da parte di una spia della Corea del Nord, scatenando così una fitta rete di sotto-trame che coinvolgono molti personaggi, fino a scomodare i poteri forti del paese. Il personaggio protagonista, inizialmente ritratto come un uomo piuttosto disilluso interessato solo a mettere il suo nome sotto lo scoop più eclatante, con l’infittirsi della trama diviene una sorta di eroe civile, incarnazione di un giornalismo d’inchiesta che ricorda quello di Tutti gli uomini del presidente. Il ritmo non latita anche se forse il film poteva essere tagliato qua e là, la tensione è ben orchestrata, così come gli allegerimenti ironici e i personaggi principali sono degnamente caratterizzati. Moby Dick è un prodotto ben confezionato che stenta però a stupire e coinvolgere pienamente, perdendosi alle volte nei meandri di una scneneggiatura fitta e ambiziosa.
EDA