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Fa caldo. Prima di morire mia madre mi aveva sussurrato stringendomi la mano con una forza insolita. ”Non mi lasciare tutta sola con quel buio…”. Le avevo giurato che non lo avrei fatto e adesso ogni settimana vado al cimitero prima di pranzo perché c’è pace ed è difficile incontrare qualcuno. Le porto un po’ di fiori e le parlo delle mie vicende quotidiane. Ho bevuto un aperitivo che, al momento, mi aveva dato refrigerio ma che adesso mi fa sudare. Mi metto all’ombra di una cappella e mi trovo di fronte una lapide. “Famiglia Pasta” e, più giù, “A Franco con amore dalla sua Felicetta Mollica”. Che strano. Guardo, attirato non so da che cosa. Mia madre aspetta ma a me cominciano a venire dei capogiri vorticosi, come una giostra. “Pasta…mollica…felicetta…mollica… pasta…felicetta…”. Poi una voce profonda e querula mi fascia il cervello.
“Ogni giorno all’una Felicetta mia mi manda il pranzo con Pinuzzo. Sempre calda calda mi arriva. E sì, perché intorno al tegame, per non fare disperdere il calore, mia moglie ci mette un panno di lana.
Io volevo studiare ma mia nonna mi mandò a garzone da don Ciccio il muratore. Ma io piano piano sono diventato operaio qualificato. Tutto questo lo debbo al mio angelo custode, l’ingegnere Lo Monte, che mi vuole bene e che mi ha nominato capo cantiere. Che brava persona!
Vediamo che cosa mi ha preparato oggi la mia mogliettina. Uhm … che buono odore! Ma dove si trova un’altra Felicetta? Ogni giorno mi prepara una pasta nuova. Ieri con la carne e i piselli e oggi con la mollica “atturrata”, tostata. Come, non la conosci? La ricetta me la diede mia nonna perché la passassi a mia moglie. Io, però, gliel’ho copiata, perché quella di nonna Angelina la porto sempre nel portafogli, scritta da lei in palermitano”.
Mi succede spesso che mentre sto dormendo dica a me stesso “Stai, dormendo, svegliati!”. E mi sveglio. Oggi, però, non ci riesco. Ma che fa ora Franco Pasta? Si leva il cappellino di giornale, tira fuori un foglietto e me lo porge. Mamma mia! Faccio tanti sforzi per aprire gli occhi ma non ci riesco. Come sta diventando grande questo foglietto!
Pasta c’a muddhica. Nzuoccu cci vuoli pi quattru cristiani.
400 grammi di maccarruncinu/150 grammi di muddhica (pani rattatu di tumminia)/na nuciddha d’astrattu ri pumaruoru siccatu/un mazzu i pitrusinu/1/2 cucchiarinu ri pruvigghia di pipi- sali a tastu/quattru cucchiara d’ uogghiu ri parmientu-100 rammi ri ricuotta salata,nfurnata e rattata-15 mennuli atturrati, 10 ruci e 5 amari-4 anciuovi salati spicchiati-ru spicchia r’agghia.
CUONZA. Si ngancia cu n’a cucchiara d’uogghiu nto ‘n tianu n’anticchia r’agghia tagghiata fina fina e quannu s’atturra anticchia si ci iunci a ‘nciuova, squagghiata n’to ‘n murtaru nziemmula ‘e miennuli e s’arrimina. Puoi si cci mietti a’ strattu ca si squagghia a cuttura cu n’anticchia d’acqua sempri arriminannu cu na cucchiara i lignu. Quannu acqua e uogghiu arriestanu ri friiri s’allienta u luci e s’ accumincia araciu araciu a ghiuncirici a muddhica, arriminannu siempri, e ghiunciennucci l’avutri cucchiara r’uogghiu nfinu c’atturra senza allintari l’arriminata. N’cuttura si cci iunci u sali a tastu, u pitrusinu tagghiatu finu finu e a pruvigghia ri pipi. Quannu l’atturratura è fatta, astutari u luci e cummigghiari.
PASTA. Si miettuni a vugghiri ru litra r’acqua nta ‘na pignata, si sala e a vugghiuta si cci cala u maccarruncinu ca avi a cuociri uottu minuti e s’av’a scinniri ngriddhu mittinnuci u Sali a tastu. Si scula buonu buonu, si mietti arrieri n’ta pignata iunciennuci una metà r’a cuonza e s’attuppa tuttu c’un cummuogghiu.
Dhuoppu quacchi minutu si mietti tuttu n’te piatta e si cci iunci a cuonza arristata e si cci ratta a ricuotta salata. Arrimini e accamuora…mizzica, chi manci! (*)
Non riesco e continuo a dormire. Ecco! Di nuovo il muratore.
“Se io non mangio la pasta ogni giorno mi sento digiuno. E la gioia mia pensa sempre cose nuove: la pasta colle “gondole”, con i finocchietti, che noi chiamiamo con le “sarde a mare”, coi fagioli e un broccoletto, con le melanzane fritte, perfino con i broccoli in tegame. Le ho detto tante volte che ora posso permettermi di tornare a casa in macchina, mangiare, prendere un caffè e andarmene. Ma lei dice che mi stanco troppo. Come si preoccupa l’amore mio!
Solo la domenica mangio a casa. E Felicetta fa certe teglie di pasta al forno… Sempre con condimenti diversi, carne, besciamella, funghi … Anche perché quasi tutte le domeniche viene a pranzo l’Ingegnere e Felicetta non vuole farmi fare brutta figura. Come è premurosa! Lui porta sempre un vassoio con i dolci ma io con la pasta mi sazio.
Come fa Felicetta a mangiare tanti dolci e a restare sempre in linea? Forse perché non ha avuto figli. Ma ci stiamo pensando.
Dov’ero rimasto? Ah, e io sempre pasta! Che ci volete fare? Ci sono i “carnefici”, quelli a cui piace la carne, i “ricottari”, i “panari”, i “secondari”, i “primari”… Io sono un “primario” della specie “pastari” perché vado pazzo per la pasta.
Da quando l’ingegnere Lo Monte mi ha messo a posto, Felicetta non lavora più. Il regno della donna è la casa. E il profumo di pasta che si sente, anche la sera, mi pare quello di Felicetta mia.
Oddio, per passare il tempo, fa qualche lavoretto in casa, allarga e stringe pantaloni, fa qualche orlo; lavori di cucito insomma per comprarmi qualche regalino.
Ma qui mi devo sbrigare perché sennò la mia pasta si potrebbe freddare e io questo torto a Felicetta non voglio farglielo.
Che squisitezza! La mania della pasta mi prese quando il padre di Felicetta mi cacciò via perché ero un volgare muratore e abbiamo fatto la “fuitina”. Ce ne siamo andati in una casa sfitta di zia Concettina. Lei diceva che si vergognava. Ma io ho insistito e poi… Insomma, arrivai che non ce la facevo più. Mamma mia che lavoro! A tempo pieno, altro che “partime”. Mi veniva una fame che non ci vedevo. Eravamo senza soldi e mangiavamo solo pasta. Poi la zia rivolle la casa. Lo dissi all’ingegnere che mi tranquillizzò. Infatti mi prestò un po’ di soldi e ci offrì un appartamentino. Che signore!
Che buona questa pasta! Ci avrà sfarinato pure qualche mandorla amara.
L’ingegnere mise tutto a posto e ci siamo sposati. Si affezionò anche a Felicetta. Che persona! Fra poco sarò capo cantiere stabile, lo so.
L’altro giorno mi ha presentato un signore tutto elegante che mi ha fatto firmare un’assicurazione per cui avrò un’altra pensione e, se io muoio prima, a Felicetta entrano 200.000 euro. Mi ha voluto pagare perfino le prime due rate, io ho protestato e lui mi ha detto che è un regalo per il bambino che finalmente dovrebbe venire.
Forse sto parlando troppo perché mi brucia lo stomaco e sudo freddo. Beviamoci su.
La pasta mi è rimasta ferma qui. Quando si mangia non si parla, diceva mio padre. Mamma mia, mi gira la testa. Questa pasta dovrei finirla, sennò Felicetta ci resta male.
Mi viene da rimettere. Caro ingegnere, forse oggi non ce la faccio a riprendere.
Come mi sento male! Oddio che stupido! Felicetta, Ingegnere, che avete fatto? Perché si è sempre gli ultimi a capire? Il sapore di mandorla amara … Altro che pasta! Mi avete combinato, tutti e due, una bella pastetta! E chissà con che alibi …
Fe-li-cé …
Morto, sono morto. Che bisogno c’era di ammazzarmi? Potevo continuare a non saperlo di essere cornuto. Il bambino, poi, me lo sarei accollato io. Ora all’Ingegnere gliela puoi cucinare la pasta.
Alla puttanesca, però. E’ vero, Felicetta?”.
Mi scuoto e riapro gli occhi. Non sono solo. Davanti alla tomba, inginocchiata, una giovane donna, tutta vestita di nero, fa vibrare le labbra in una preghiera appena sussurrata. Graziosa, bruna, afflitta. Ho sognato. La calura gioca spesso brutti scherzi. Faccio per parlarle ma sento sopra la mia testa, autorevole ma gentile, un vocione:
“Su, forza, Felicetta, andiamo. Fra dieci minuti la bambina esce dall’asilo e non vorrei che non ci trovasse. E lo sai che dopo debbo tornare in cantiere”.
*)Traduzione in italiano della ricetta dal vernacolo palermitano.
Pasta col pangrattato. Dose per quattro persone.
400 grammi di maccheroncini – 150 grammi di pangrattato(possibilmente pane nero di frumento)-una nocciola di estratto concentrato di pomodoro già seccato al sole – un mazzo di prezzemolo – 1/2 cucchiaino di polvere di peperoncino – sale ad assaggio – quattro cucchiai di olio da macina – 100 grammi di ricotta salata al forno – 10 mandorle di cui 3 amare tostate e tritate – 4 filetti di acciughe salate sottolio.
CONDIMENTO. Si mette un cucchiaio d’olio in un tegame con un po’ d’aglio tritato. Quando l’aglio comincia a dorare si aggiungono i filetti di alice, precedentemente macerati in un mortaio insieme alle mandorle e si mescola. Si aggiunge poi l’estratto di pomodoro che si va sciogliendo con qualche goccia d’acqua sempre mescolando con un cucchiaio di legno. Quando acqua e olio smettono di friggere si diminuisce un po’ la fiamma e si comincia ad aggiungere il pangrattato, mescolando sempre e aggiungendo il resto dell’olio, fino a doratura. Sempre in cottura, mai rallentando di mescolare, si aggiunge il sale ad assaggio, il prezzemolo tritato e la polvere di peperoncino. Quando il tutto assume un colore dorato, spegnere il fuoco e coprire.
PASTA. Si mettono a bollire due litri d’acqua. A bollore si sala e si butta giù la pasta che deve cuocere otto minuti e si deve scolare quand’e ancora non del tutto cotta. Si rimette nella pentola, vi si mescola metà del condimento e si chiude tutto per qualche minuto. Si mette poi il tutto nei piatti, si aggiunge il condimento rimasto e vi si grattugia sopra la ricotta salata. Mescoli e adesso…perbacco, che mangi!