Ce lo stavamo aspettando. L’ennesimo caso di tentato omicidio ai danni di una donna. E, inesorabile, è arrivato.
Mentre l’Italia si chiedeva se la maestra d’asilo-modella sarebbe stata cacciata dai genitori scandalizzati perché “troppo bella” o come si possa conciliare la vita da cubista con quella di volontaria (chiari pretesti per sbatterci in faccia ancora una volta le stesse immagini, che i media utilizzano come specchietto per allodole, e ricordarci quali sono le donne che fanno notizia in Italia e qual’è il ruolo riservatoci nella società, ovvero di oggetto) Andrea Toccaceli, giovane ragazza di neanche 19 anni, veniva presa a pugni e buttata nel vuoto dal suo ex fidanzato.
Il movente? Chiaramente passionale (sono ironica). E chi se ne frega se la ragazza al momento rischia la vita per gravi danni al fegato. La causa ricade sempre sulla vittima che in quanto donna, come Eva, induce l’uomo a peccare. Ed ecco le solite frasi, sentite troppe volte, a cui ormai la maggior parte della gente non fa più caso: lei “non voleva più saperne”; lui “non si rassegnava alla fine della relazione”. Addirittura un articolo titola: “Innamorato respinto“!
Antonella, Lenuta, Cristina, Tommasina, Edyta, Rosanna, Loveth, Elda, Ave, Nike, Domenica, Leda, Enza, Grazyna, Yuezhu, Rosetta, Shama, Stefania, Daniela, Nunzia, Fabiola, Antonia, Maura, Gabriella, Patrizia, Francesca, Chiara, Esmeralda, Anna,…
Questi i nomi di alcune delle donne ammazzate perché tali per mano di un uomo nel 2012. Alcune non hanno nemmeno un nome.
Nomi, visi, storie diversi che hanno solo una cosa in comune: quella di aver trovato in un loro caro, marito, amante, compagno o figlio che sia, il proprio carnefice.
Un giorno ogni due in Italia una donna viene brutalmente uccisa. Sono circa 40 le donne a cui è stato tolto il diritto alla vita dal primo gennaio 2012. Strangolate, accoltellate, bruciate, picchiate selvaggiamente. Queste le modalità principali.
Solo i casi più eclatanti, gli omicidi più efferati e intricati, guadagnano le prime pagine dei rotocalchi e si trasformano in soap opera senza fine, alla ricerca di prove per accusare o scagionare l’indiziato, in un gioco mediatico di macabro gossip.
E i giornali titolano “Delitto passionale“.
Io il significato di passione me lo sono andata a cercare sui vocabolari, perché l’antropologia ci dice che la cultura e il linguaggio sono legati inestricabilmente e si influenzino a vicenda in una spirale infinita che non ci permette di capire se sia nata prima l’una o l’altro.
Ciò che ho trovato sono due inquadrature di tipo differente: la prima connota la parola negativamente, come una grande sofferenza spirituale e morale, sinonimo di pena e tormento, rimandante anche alla Passione di Cristo e all’insieme delle sofferenze subite prima della crocifissione; la seconda la connotata positivamente, come trasporto amoroso e attrazione o comunque forte interesse verso qualcosa/qualcuno.
Non è difficile capire come venga esplicitamente avvallata la tesi per cui questo termine diventa comunque un alibi per il carnefice!
Nel primo caso l’assassino viene giustificato in quanto vittima di forte sofferenza emotiva con frasi del tipo: “era tormentato dalla gelosia”, “non accettava la separazione”; nel secondo come soggetto perdutamente innamorato della vittima e si arriva a sentire addirittura: “era accecato dalla passione”, “l’amava troppo”.
E’ ora di dire BASTA! Abbiamo appurato recentemente che l’Italia stupra in silenzio e insieme a stuprare uccide in silenzio!
E i media, non verrà mai detto abbastanza, sono complici! Subdoli complici per il mantenimento dello status quo!
Bollano i delitti con l’aggettivo passionale, quando la passione qui non c’entra proprio niente! Semmai si dovrebbe parlare di delitti di genere e di forte misoginia! Altrimenti non si spiega com’è che la passione femminile non faccia lo stesso spropositato numero di vittime maschili all’anno!
Viene utilizzato un vocabolario che riporta la colpa ancora una volta sulla vittima e legittima sottilmente un atto brutale come quello di un omicidio, oltre che rispecchiare la cultura sessista che vige in Italia.
Inoltre queste notizie riescono ad avere visibilità solo se si trasformano nell’ennesimo giallo per fare audience.
La maggior parte delle donne che in Italia perdono la vita viene a mala pena menzionata! Mentre i nostri giornali non si tirano indietro a dare spazio a notizie che non fanno altro che stigmatizzare la figura femminile e incastrarla nella solita categoria di oggetto sessuale ad uso e consumo maschile! Mentalità misogina che va di pari passo con la considerazione delle donne come qualcosa da possedere e di cui disporre a proprio piacimento, fino ad arrivare a vere e proprie forme di violenza che spesso, troppo spesso, hanno il triste epilogo dell’omicidio!
Chiaramente tutto gira intorno al concetto di notiziabilità, ovvero l’attitudine di un avvenimento ad essere trasformato in notizia. I redattori cercano l’attenzione del pubblico e quelli on line possono visionare il numero di “click” effettuati su di una notizia. E qui si apre il fatidico quesito: è la massa che si adegua ai media o sono i media ad adeguarsi alle esigenze degli utenti? Come dire.. E’ nato prima l’uovo o la gallina?
Allora questa domanda la rigiro a voi. Siamo davvero più interessati al gossip e ciechi di fronte alla giustificazione di delitti efferati per cui ogni due giorni in Italia una donna smette di respirare per mano di un uomo?
DICIAMO BASTA ALLA DICITURA “DELITTO PASSIONALE”! Scriviamo, facciamoci sentire ogni volta che sentiamo questo termine! Iniziamo a cambiare la cultura dal linguaggio che utilizziamo!
Alessia