Sono allibita. Sono basita. Sono stupita. Si capisce, sì, che sono eufemismi? Si capisce? Perché in verità sono arrabbiata.
Leggo notizie di donne uccise, negli ultimi giorni, come sempre, da tempo. E la mia rabbia è dovuta non solo a questa strage infinita, ma anche alla moda del “giustificazionismo al femminicidio” che sta nascendo nei social.
Si sta rafforzando una tendenza di pensiero alquanto pericolosa. Cioè: “dobbiamo verificare la condizione di stress, lo stato mentale, la solitudine, la tristezza-depressione-angoscia dell’UOMO”. Perché, domando, cosa cambierebbe a livello di riconoscimento dello status di FEMMINICIDIO. Cosa?
Una volta verificato che l’UOMO-ASSASSINO (autore di singolo FEMMINICIDIO oppure DI FEMMINICIDIO INSERITO IN STRAGE FAMILIARE) era – poveretto lui e non la vittima - sotto STRESS a causa dei più svariati motivi, cosa cambia?
Nel femminicidio, così come lo ha concepito la sua creatrice DIANA RUSSEL nel 1992 (autrice del libro “Femicide: The Politics of woman killing”), si dice appunto che il femminicidio è l’uccisione di UNA DONNA IN QUANTO DONNA.
Cioè, specifichiamo meglio: non si tratta dell’uccisione di una donna in un incidente stradale, di una negoziante durante una rapina a mano armata nel suo negozio, di una soldatessa in guerra. Non tutti i casi di donna uccisa sono FEMMINICIDIO: lo sono appunto i casi in cui LA DONNA E’ UCCISA IN QUANTO DONNA, cioè in quanto appartenente a quello specifico genere. Quando cioè una donna è uccisa, in quanto: MOGLIE, COMPAGNA, CONVIVENTE, AMANTE, MADRE, FIGLIA, SORELLA O ALTRA CONSANGUINEA. Ma anche quando non c’è rapporto affettivo di parentela ma l’uomo si pone in condizione di “sopraffarla”, usandole violenza e morte. Sembrano ovvietà queste che scrivo, ma invece vanno dette: perché ci sono molte persone che fanno una gran confusione in merito.
Ma ci è chiaro tutto questo o no? Perché se non ci è chiaro, esiste il pericolo di limitare la portata del femminicidio, togliendo a questa tragedia la caratteristica di fenomeno di massa, svilendolo, facendolo rientrare nei ranghi di “singoli specifici casi”.
E per realizzare questa assurda manovra di de-classificazione del fenomeno, cosa fanno in molt*? CERCANO UNA “GIUSTIFICAZIONE” per il gesto dell’ASSASSINO.
Sì, ci sono persone che dicono che l’ASSASSINO, in fondo, deve godere della nostra umana comprensione (?), perché a seconda dei casi:
- era lasciato solo dallo Stato (in quanto aveva un figlio disabile, in quanto era stato licenziato, in quanto doveva pagare debiti…)
- era malato di mente
- era depresso, era sotto stress, era angosciato
- era malato fisicamente e soffriva per la sua condizione
- era geloso perché la moglie lo tradiva o credeva che lo tradisse
- era soffocato dalla figura incombente e forte della moglie
- era tranquillissimo, ma poverino non ce la faceva più perché la famiglia lo soffocava.
E così via.
Tristissimi, preoccupanti tentativi per “giustificare” umanamente chi uccide. Trovare un motivo “giustificante” del massacro di una donna.
Così, forse, in questo modo il FEMMINICIDIO PERDEREBBE SPESSORE, VALORE SOCIALE, INCIDENZA DI FENOMENO DI MASSA. Del resto, si sa, quando un fenomeno sociale (fatto sociale) viene finalmente riconosciuto (anche su un piano normativo) fa fico andare contro corrente per risultare “originali” e particolarmente trendy.
Attenzione donne. Noi, in tante, stiamo lottando anche per avere una LEGGE MIGLIORE SUL FEMMINICIDIO E LA VIOLENZA DI GENERE. Quindi, non possiamo e non dobbiamo permettere a nessuno di svilire questa TRAGEDIA. In nome di tutte le donne ammazzate: “in quanto donne”.
IO NON CI STO A QUESTO “GIUSTIFICAZIONISMO” PER GLI ASSASSINI.
LO DICO CHIARO E TONDO: NON MI FANNO PENA.
________________________________________________________________________
CONTATTI 10 agosto 2014: 40.210
LA PUBBLICITA’ NON E’ INSERITA DA ME, ma direttamente da WORDPRESS (io non guadagno niente da questo blog).