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“Femminicido” ed emergenza suicidi. Perché sono delle bufale, a che cosa servono e da chi vengono utilizzate

Creato il 07 marzo 2014 da Catreporter79

Uno dei decani del giornalismo statunitense, nonché celebre e celebrato “muckracker”, Lincoln Steffens, faceva notare come avrebbe potuto creare un’emergenza sociale, una psicosi collettiva, partendo dai normali fatti di cronaca che avvenivano nel quotidiano, amplificandoli attraverso il mezzo mediatico e la sua retorica. Questo perché il cronista è il “medium” tra le masse e ciò che succede e per questo le masse sviluppano nei suoi confronti un rapporto di tipo fideistico. Da tale assunto di base si comprende la delicatezza del ruolo di chi fa informazione; una notizia manomessa, alterata o , peggio ancora, falsa, sporca la percezione che il cittadino ha di sé stesso, del collettivo e di chi lo governa, orientandolo di conseguenza. Il crisismo demolitivo e l’allarmismo che sta delineando il lavoro della stampa nazionale si muove secondo questa nefasta traiettoria. I motivi sono: il dettato politico (quasi tutte le testate hanno una proprietà partitica) ed il bisogno di fare “cassetta”, bisogno che soltanto le notizie ad altissimo impatto emotivo possono garantire, secondo il principio breueriano-freudianio della catarsi (il lettore scarica ed appaga i propri impulsi più violenti nell’acquisizione di una notizia di importante urto adrenalinico ). Si viene meno, però, ai dettami dell’etica deontologica (mirabilmente illustrati e condensati nello “Statement of Principles” del 1975 ) nuocendo alla società, corrodendone le basi e, quel che è peggio, la fiducia, ammanettandola ad una cultura del disfattismo che mostra i contorni del vicolo cieco.

Analizzando il lavoro delle piattaforme mediatiche negli ultimi tempi, potremmo notare come siano essenzialmente due i fenomeni protagonisti della scena e della notiziabilità: il cosiddetto “femmincidio” e la supposta impennata dei suicidi dovuti alla crisi economica e finanziaria che attanaglia il pianeta dal 2008. Si tratta, tuttavia, di emergenze-non emergenze, prive del riscontro del dato statistico e documentale. Ma osserviamole nel dettaglio, sulla scorta dei numeri raccolti dall’ ISTAT:

Da oltre 20 anni, la violenza che sfocia in omicidi nel nostro Paese è in calo. Nel 1992, ce n’erano stati 1275, numero ridotto a 466 nel 2010. Le vittime di sesso femminile erano state 186 nel 1992, diventate 131 nel 2010 con un calo del 29,57%. Attualmente, l’Italia è uno dei Paesi al mondo statisticamente più sicuri per le donne, come si evince da un rapporto dell’ONU che indica le donne uccise ogni 100.000 abitanti.

Italia: 0.5

Regno Unito: 0.8

Francia: 0.9

Germania: 0.8

Svizzera: 0.7

Spagna: 0.6

Svezia: 0.6

Norvegia: 0.5

Olanda: 0.5

Austria: 1.3

Finlandia: 1.3

Russia: 8.7.

Ampliando l’analisi, l’Italia si colloca al 19º posto in Europa per omicidi, con un tasso di 0,97 eventi delittuosi per 100.000 persone nel 2009. Meno sicuri del Bel Paese sono Finlandia, Francia, Islanda, Australia, Canada e Regno Unito .

Parlare di emergenza per quel concerne la violenza sulle donne e, più in generale, la criminalità comune, non solo è e rappresenta quindi un’ evidente alterazione della verità, ma dilata ed altera la percezione del rischio nel cittadino, con conseguenze potenzialmente devastanti sul suo equilibrio personale. Inoltre, si rischierà di creare un’innaturale frattura di genere che avrà come risultato il rafforzamento e la giustificazione della misandria più isterica ed emotiva, con esiti anche in questo caso catastrofici per la società nella quale viviamo e per i rapporti tra gli esseri umani.

Veniamo adesso all’”emergenza suicidi”:

Secondo gli ultimi dati ISTAT, nel 2008, i suicidi per ragioni economiche sono stati 150 su un totale di 2.828 casi. Nel 2009, sono stati 198 su 2.986 casi. Nel 2010 187 su 3.048 casi. Osservando il dato numerico questo vuol dire che sono aumentati del 24,6% tra 2008 e 2010 ma anche che sono diminuiti del 6 per cento tra 2009 e 2010. Questi atti rappresentano il 5,3% di tutti i suicidi nel 2008, il 6,6% nel 2009 e il 6,1% nel 2010. Secondo l’analista ISTAT Stefano Marchetti, “se si escludono i suicidi per motivi d’onore (18 in tutto), quello economico è, per assurdo, il movente meno preoccupante di tutti. Quasi una persona su due (1.412) ha deciso di farla finita a causa di una malattia (per 4 su 5 di origine psichica). La seconda causa di suicidio è affettiva: 324 persone si sono tolte la vita per questioni di cuore, quasi il doppio rispetto a chi l’ha fatto per il conto in banca. E quasi in un caso su tre non è stato possibile individuare il movente del gesto”. l’Italia si classifica inoltre ed anche in questo caso dietro Paesi molto avanzati quali Islanda, USA, Regno Unito, Germania e Giappone.

Questa è forse la menzogna più pericolosa. Ed eccone le ragioni: 1)la semplificazione di un evento tragico quale il suicidio, che ha e può avere un ventaglio variegato e multiforme di cause e concause. 2)il rischio di detonazione del cosiddetto “Effetto Werther”; enfatizzando e “giustificando” i suicidi a livello mediatico (per ragioni di marketing e/o per trovare punti d’entrata per l’attacco a questo od a quel governo) si rischia infatti di condurre il cittadino all’emulazione. Se in difficoltà, egli si sentirà infatti legittimato a compiere un gesto insano come togliersi la vita , in risposta ad un supposto menefreghismo della politica, ecc.

“Il diritto all’informazione non è un privilegio del giornalista, ma una componente della libertà del cittadino, una garanzia della democraticità del sistema. Ma affinché ciò corrisponda poi alla realtà dei fatti occorre che il giornalismo sia scrupoloso, corretto e oltremodo rigoroso. Il giornalista per il ruolo che rappresenta è oggetto di pressioni, lusinghe e tentazioni. Per questo il suo corredo di regole e responsabilità deve essere chiaro. I confini della professione ben marcati e in nessun caso mobili o confusi” – Stefano Rodotà



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