Magazine Cultura
di Pierluigi Montalbano
Un’altra categoria importante nell’artigianato artistico è quella delle coppe metalliche che hanno due forme: emisferica o a tazza larga con ombelico centrale a rilievo. Sono realizzate martellando una placca fino a darle una forma arrotondata. La decorazione è realizzata a sbalzo e le figure sono poi rifinite a cesello. Anche questa produzione mostra manufatti di varie scuole, pertanto lo studio iconografico è obbligatorio.
I fenici avevano necessità di reperire stagno e rame per ottenere il bronzo, e si procuravano l’argento scambiando merci con altri popoli, pertanto le coppe sono attestate solo fuori dal Libano, come gli avori. La produzione è divisa in due fasi: una antica (X-VIII a.C.) che attesta coppe in bronzo in Grecia e Oriente, in necropoli e santuari, e una più recente (VII-VI a.C.) con una produzione in argento e argento-dorato. I luoghi di produzione mostrano botteghe siriane (900-700 a.C.) e fenicie (700-550 a.C.), due fasi differenti per materiali e per iconografia. Quella più antica è nord siriana, e si divide in tre sottogruppi principali. È costituita da coppe di bronzo caratterizzate da una rosetta centrale. La decorazione si sviluppa in fasce concentriche floreali o geometriche, non figurate, disposte attorno al centro. I temi sono apprezzati nelle corti reali orientali: bancheto, caccia, tori e vacche che allattano (coppe dei tori). L’iconografia non è egizia perché le figure sono poco slanciate, c’è un’impronta siriana.
Un altro sottogruppo è costituito da coppe con una stella (Star Bowl), di scuola fenicia orientale o sud-siriana. Il motivo si dispiega dalla stella al centro, con decorazione figurata organizzata simmetricamente. Si notano scene di danza o di lotta fra l’eroe e il grifone decorati dentro spicchi separati da colonne e divinità.
L’ultimo sottogruppo è di scuola fenicia orientale ed è caratterizzato dalla presenza al centro di una decorazione calligrafica con fasce continue di palme (Marsh Pattern). In alcune ci sono tori o sfingi alate o urei (cobra, serpente sacro agli egizi).
Le coppe del secondo gruppo, quelle che iniziano nel 700 a.C., sono diverse sia come materiali (argento e argento dorato) sia come luoghi di produzione. Sono state ritrovate a Cipro e in Etruria, ma le botteghe sono cipriote. Si differenziano per la presenza di un medaglione figurato con un motivo egizio o orientale. Nelle fasce concentriche si nota un affastellamento di elementi orientali diversi che si susseguono senza ordine. In alcune si nota il genio assiro quadrialato (il bene) che combatte contro il leone (il male). Sopra l’eroe c’è il falco Orus (divinità egiziana) che protegge chi combatte contro grifoni, animali e mostri vari. Sono rappresentati anche alberi della vita realizzati con palmette, sfingi e capridi in posizione araldica, una serie di simboli orientali commisti con simboli egizi. In una fase più tarda scompare l’affastellamento e le coppe sono più ordinate. Narrazioni o decorazioni con palme, barche sacre egizie, sfondi di papireti, Iside che allatta Orus, tutti elementi ripresi dalla tradizione egiziana. Una delle iconografie più diffuse presenta il faraone con la mazza in mano che abbatte il nemico mentre questi implora la salvezza. La rappresentazione del faraone è enfatizzata, grande, mentre il nemico è piccolo e ridotto a strisciare come un animale.
Nell’ultima fase troviamo coppe come quella di Preneste, in Etruria, nella quale è rappresentata la giornata del cacciatore. La scena narrativa è racchiusa entro un bordo nel quale si nota un serpente. Al centro c’è il faraone che con una lancia sta per uccidere il nemico, riverso inerme e umiliato in terra. In una fascia più centrale ci sono i cavalli mentre quella esterna racconta del giovane principe che esce dalla città fortificata per andare a caccia su un carro. Un attendente regge un ombrello per riparare dal sole il sovrano. La scena al fianco mostra una montagna (rappresentata a pelte, di tipo assiro) con un cervo catturato dal principe, ucciso e appeso a un albero per essere scuoiato. Poi c’è il riposo con l’adorazione della divinità con il sole alato e il fumo che sale dall’altare. Dalla montagna esce un mostro ma il re, protetto dal falcone Orus, ingaggia una lotta, lo uccide e rientra in città. Confluiscono elementi di tradizione egiziana, orientale, greca e assira.
Un’altra classe importante è costituita dai bronzetti figurati, a volte impreziositi da una lamina in oro che li riveste. Inizia nel Bronzo Medio e continua fino al Ferro. Per l’interpretazione non abbiamo dati stratigrafici e quindi ci basiamo su iconografia e stile. Sono divinità maschili e femminili, o antenati divinizzati. Nella tradizione siro-palestinese abbiamo due iconografie: divinità maschili (Smiting God, o Dio battente) con una mazza nella mano destra. Percuotono le nubi (Dio Adad e Baal). Si nota l’influenza egiziana per il corto gonnellino e la figura slanciata, ma la cintura e la tiara conica sono siriane. A volte sono seduti in trono.
Nel Ferro, in Fenicia troviamo spesso rappresentazioni femminili con veste lunga, corona egiziana e un braccio rivolto verso l’alto. Continua lo Smiting God maschile ma è più frequente in occidente. Un bronzetto è stato ritrovato in mare a Selinunte e datato all’VIII a.C. Le piccole sculture sono realizzate con il metodo della cera persa e misurano fra i 20 e i 40 centimetri. Un’altra iconografia occidentale è quella dei benedicenti, con le mani rivolte verso chi guarda. Alcuni hanno una corona con il disco solare fra le corna (Athor, la dea vacca). I personaggi maschili indossano una tiara conica (Alghero) e a volte sono incedenti, con una gamba avanzata, un iconografia di tradizione egizia. Ci sono anche bronzetti con le braccia distese lungo i fianchi o con un braccio ripiegato nel petto. Altre iconografie isolate mostrano la divinità che allatta (Tharros), la dea nuda con le mani sui seni e il suonatore di lira (Monte Sirai).
L’economia era dunque fiorente, con commerci di metalli, oggetti lavorati, gioielli e avori con un’irradiazione da oriente verso occidente, a partire da Cipro per poi proseguire nell’Egeo, Creta, Eubea. I levantini arrivavano nelle terre controllate dai capi locali e svolgevano i loro commerci senza entrare in conflitto con gli indigeni. Attraversarono tutto il Mediterraneo e arrivarono nell’Atlantico. Attraversare lo Stretto di Gibilterra non era semplice a causa dei venti e delle correnti marine, e spesso si attendeva sotto costa per mesi in attesa di condizioni favorevoli.
Un dato rilevante, relativo al Bronzo Medio, testimonia un riscaldamento globale che causa un processo di inaridimento e desertificazione, con le steppe dell’interno che avanzano verso il mare. La popolazione che si dedicava alle attività agraricole fu costretta a spostarsi verso il mare, sollevando la pressione demografica sulle città costiere e rendendo difficile sfamare tutti con le risorse esistenti. Aumentò l’esigenza di nuovi sbocchi e aumentarono considerevolmente le flotte delle Città Stato che si avventurano nel Mediterraneo per commerciare. Le cause dell’irradiazione fenicia sono insite nell’organizzazione economica dell’area, basata sulla produzione di manufatti di lusso, in cambio dei quali ricevevano derrate alimentari e materie prime. Inizialmente queste erano procurate dal Re Hiram in oriente, a Ophir e Cipro, e dai ricchi giacimenti minerari dell’area settentrionale, in Cilicia. La situazione si modifica con i cambiamenti politici del Primo Ferro, quando l’alleanza dei regni della Siria blocca il passaggio a nord. Le carovaniere sono bloccate anche a est dal consolidarsi del regno arameo di Damasco e a sud c’è Israele. Tiro e altre città Stato sono costrette a trovare risorse metalliche altrove e attraversano tutto il mediterraneo fino a giungere nell’area atlantica.
Immagini tratte da "Sulla rotta dei fenici" - Montalbano - Capone Editore - in pubblicazione.
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