Magazine Cultura
di Pierluigi Montalbano
L’antica civiltà mediterranea è racchiusa nei termini “fenicio” e “punico”. Si usano in maniera differenziata, il primo per intendere il quadro culturale e il secondo per qualificare la fase cronologica occidentale a partire dalla fine del VI a.C. caratterizzata dalla egemonia di Cartagine.
Il primo termine fu coniato dai Greci intorno al VII a.C., con il significato di “rossi", forse per via del loro abbigliamento tinto con la porpora. Si tratta di popoli che viaggiando, lavorando e integrandosi con le altre popolazioni costiere diedero vita al “rinascimento” avvenuto dopo il crollo dei grandi imperi dell’età del Bronzo, avvenuta intorno al 1200 a.C. Nacque una koinè mediterranea, caratterizzata da territorio costiero, cultura, religione, lingua e scrittura omogenei e che va dal Libano sino all’Atlantico, dalla Lixus marocchina sino agli insediamenti portoghesi, passando dall’Andalusia e Cadice, e che cronologicamente va dal Tardo Bronzo sino alla piena età romana imperiale. Identità culturale non significa un blocco di cloni tutti uguali nel territorio e nel tempo ma, come tutte le culture, quella mediterranea presenta una profonda evoluzione nel tempo e nello spazio. All’interno di questo quadro si possono delineare “sub-identità” regionali, tra le quali quelle occidentali assumono un ruolo importante e identificabile soprattutto a partire dalla crisi delle città orientali. Mediterranei di Sardegna, di Spagna, di Sicilia e di Nordafrica, i cui centri sono identificabili a partire dalla fine del X a.C.
In questo quadro cresce il ruolo di Cartagine che diventa la capitale dell’occidente mediterraneo a partire dal VI a.C. e che, pur riconoscendo il ruolo (ormai virtuale) di madrepatria a Tiro, costruisce il proprio ambito politico-territoriale, incidendo in modo culturale e politico, sulle altre comunità mediterranee dell’occidente. Questo è il periodo che viene da molti studiosi definito “punico”.
La diffusione di oggetti di stile egizio, tipico di questo periodo, ha come motore propulsore alcuni centri tra i quali, in Egitto, il fondaco levantino presente a Menfi (il “campo dei Tiri” di Erodoto) e il centro greco di Naucrati nel Delta del Nilo. Per gli oggetti egittizzanti, invece, le produzioni vanno da quelle del Libano a quelle locali (sarde e spagnole). A questi manufatti si aggiungono oggetti originali egiziani provenienti dal saccheggio delle tombe, anche faraoniche, e che finiscono sul mercato mediterraneo e vengono deposti in tombe in età più tarde: i vasi di alabastro del centro mediterraneo di Sexi (Almuñecar, Spagna) ne sono un esempio.
Nei traffici commerciali fenici appare chiara una compresenza di diverse componenti etniche (cananei, filistei, gibliti, sidoni, tiri, aramei, ciprioti, cretesi, filistei) e greche (in particolare euboici). In questi ambiti commerciali soprattutto di VIII a.C. si nota, con dati scientificamente provati, anche la compresenza di nuragici. Una joint venture che trova conforto nella presenza di centri nuragici che accolgono genti levantine che si stabiliscono al loro interno (vedi S. Imbenia di Alghero e Sulci). In altre parole, l’arrivo dei commercianti levantini in occidente mostra una pluralità di risultati che vanno analizzati distintamente. L’aspetto culturale fenicio diventerà sempre più presente, senza che questo significhi la scomparsa delle altre componenti, che anzi partecipano attivamente.
Risulta evidente che il termine “fenici” non sia un appellativo etnico. Forse i Greci preferivano impiegare un termine generico che inquadrava l'origine di tutte queste genti in quella striscia di terra.
Il quadro ricavabile dagli scavi archeologici dimostra come nel primo orizzonte cronologico delle più antiche frequentazioni levantine in occidente la cultura materiale, in specie la ceramica (quella fine da mensa denominata red-slip, le anfore e altri grandi contenitori, tripodi...), sia speculare rispetto ai rinvenimenti orientali. Poiché è impensabile che i mediterranei sbarcassero in terre disabitate, anzi, è certo che alla base dei primi stanziamenti ci siano stati stretti legami con le popolazioni locali, la cultura materiale dei periodi successivi alla strutturazione degli abitati mostra una profonda interazione con i prodotti delle culture locali. A partire dal 700 a.C., dunque, le ceramiche e gli altri prodotti distribuiti nel bacino occidentale del Mediterraneo mostrano lievi differenze tra loro: questo è per l'appunto il frutto dell'elaborazione delle esperienze locali, in Sardegna con i sardi, a Cartagine con le popolazioni numidico-berbere e con i libici, in Spagna con gli esponenti della cultura tartessica (anche se a mio avviso la mitica Tartesso che gli archeologi spagnoli cercano vicino al fiume Guadalquivir sia, in realtà, la sarda Tharros) e in Andalusia o con gli iberici del levante spagnolo. A partire dal 500 a.C. si registra un mutamento della cultura materiale, che fra il V e il III a.C. appare molto simile ai prodotti di fabbrica cartaginese.
I movimenti levantini verso ovest furono certamente appannaggio di ristrette elite, poiché è impensabile che i contadini o le fasce sociali meno privilegiate avessero i mezzi per armare le navi necessarie a tali imprese. Costituirono, viceversa, la manovalanza indispensabile alla creazione dei nuovi insediamenti. Si può discutere, invece, se tali imprese furono solo ed esclusivamente private o in mano al potere palaziale.
Sembrerebbe che ogni area, dopo aver ricevuto un input simile, abbia sviluppato una cultura propria, in funzione della gente trovata sul posto ma anche in funzione dei nuovi venuti, che non necessariamente appartenevano ad un’unica etnia. In effetti, se da un lato è impensabile che grandi masse si spostassero dalla costa cananea verso il Mediterraneo occidentale, dall'altro é altrettanto difficile pensare che ristrette elìtes fossero in grado di omogeneizzare culturalmente contemporaneamente il Nord Africa, la Spagna, la Sardegna, la Sicilia.
Fenicio è quindi il modo di vivere di quell’epoca, la cultura diffusa, la contaminazione globale. Già in passato i ciprioti formavano, insieme a cretesi e sardi, l'asse dei commerci del rame. A questi si unirono filistei, tiri, gibliti, sidoni, siriani, aramei e altri.
Per quanto riguarda la quasi assenza di strutture architettoniche fenicie nelle coste, possiamo dare una spiegazione logica: fruivano delle strutture locali per attraccare, riposarsi, commerciare, collaborare, integrarsi e fondersi con gli indigeni. Le cose cambiano quando appaiono sulla scena i Cartaginesi. Questo popolo era figlio di quella Tiro che cambiò radicalmente assetto sociale e politico a seguito delle invasioni del 1200 a.C. che la rasero al suolo. La popolazione fu sterminata e la città ricostruita e popolata da genti nuove. Dal 600 a.C. i cartaginesi iniziarono ad allargare le proprie mire lungo le coste e si scontrarono con gli altri grandi navigatori dell'epoca: greci ed etruschi. Intorno al 530 a.C. la loro flotta, alleata agli etruschi contro i greci focesi di Massalia, fu distrutta completamente nella battaglia di Alaria (detta anche del Mare Sardo) ma anche le altre flotte affondarono. Proprio in quel periodo i romani avviarono l'epopea che conosciamo: stipularono accordi con le altre potenze, organizzarono il proprio sistema legislativo e allestirono un forte esercito che nel giro di pochi secoli riuscì ad imporre l'egemonia del senato romano in molti territori. Ai poveri cartaginesi restò la consolazione del controllo di mezza Sicilia (l'altra era greca) e un accordo con i sardi che consentiva di collaborare commercialmente con benefici reciproci.
Nelle immagini: ceramiche caratteristiche di età fenicia.
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