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Fenomenologia del Fenomeno

Creato il 25 febbraio 2014 da Albertocapece

113127598-0d5588ba-d29c-4091-aec6-6e7aaebb371eAnna Lombroso per il Simplicissimus

Fin troppo facile sottolineare le affinità elettive (devono essere rimaste le uniche a essere elette in un paese di nominati dall’alto) tra Renzi e una delle divinità più ammirate del suo Pantheon, quel Mike della Ruota della fortuna, cui Eco dedicò una irresistibile fenomenologia che gli fa perdonare il pallosissimo Pendolo di Foucault.

Allora stupiva il successo e l’aspirazione imitativa che ispirava un uomo grigio, un ideale più raggiungibile di un qualsiasi eroe letterario o cinematografico, un everyman al posto di superman, sufficientemente vanesio da vantarsi della sua ignoranza, abilmente manovrata per rassicurare i telespettatori, abbastanza inespressivo da diventare un casalingo elemento di arredo in tinello, tale da non porre in stato di inferiorità nessuno,   neppure il pubblico più sprovveduto che è rassicurato dal vedere glorificato in lui il ritratto dei propri limiti.

Allora stupiva, ma non erano ancora i tempi della rivalutazione di Alvaro Vitali e della consacrazione veltroniana di Giovannona coscia lunga, quelli della divinizzazione nell’olimpo dei grandi di Franchi e Ingrassia, quelli della ostensione come modelli culturali da parte di premier rimasti sempre nipotini di Dylan Dog, Vasco Rossi e Jovanotti.

Mentre  ancora di più oggi possiamo impiegare indicatori e strumenti interpretativi cari all’Eco di allora, prima che curasse encyclomedie e storie delle Bellezze, per comprendere il successo convincente anche se largamente autopromosso e autoproclamato del guappo toscano e dei suoi slogan, che per farsi un’idea delle sue potenzialità come premier bastava in fondo guardare a cosa aveva fatto e non fatto da sindaco di Firenze.

Certamente Mike era meglio del Renzi, molto meglio: Mike era più intelligente che furbo, più tenace che ambizioso, più volitivo che spaccone, più rispettoso che arrogante: aveva ben compreso il potere del mezzo televisivo, si era costruito un’immagine efficace ed aveva saputo accreditarsi come un prodotto di sicuro successo, circolava nelle più impervie geografie  dello scibile e ne usciva inviolato, ma ciononostante dimostrava  ammirato riconoscimento per chi sapeva, per l’esperto e per il tecnico, con una predilezione per la mnemonica  in favore della conoscenza, per  il metodo applicativo in favore della cultura. E con un inossidabile rispetto per le regole e per le figure che le tutelano: il tecnico, il notaio.

È che il bullo al governo dopo essere passato attraverso Mike Buongiorno si è nutrito alla Weltanschauung dell’altro volto prestato all’italiano medio e ai suoi difetti, ai suoi vizi e alle su inclinazioni. Anche stavolta in senso peggiorativo: non ha avuto bisogno di farsi da sé essendo nato in condizioni di privilegio, la sua è un’indole alla mediocrità che pervicacemente persegue, senza il bisogno di affrancarsi con aspirazioni megalomani, la sua ostentata ignoranza di ritorno lo rende impermeabile perfino alla curiosità.

Ma dal suo vero padrone alla cui imitazione è dedito da anni con indubbio successo, ha mutuato il gusto per la menzogna o per l’annuncio immediatamente smentito, il dileggio per la conoscenza e la bellezza, mercificate al pari delle idee e dei principi, il disprezzo per le regole e le leggi interpretate con fastidiosi ostacoli da rimuovere e aggirare per garantire l’affermazione della libera iniziativa, il dinamismo insonne, malgrado una fisiognomica stolida che evoca indolenza, apatia e pigrizia mentale, o semplicemente grandi conflitti con le adenoidi, e che sostituisce il lavorio del pensiero, l’immaginazione e la creatività della mente. Da lui ha preso il gusto dello slogan, vera allegoria rappresentativa del culto del profitto e dell’approfittarsi, che si sviluppa attraverso il cinismo smodato esposto in vetrina come una virtù necessaria alla carriera, o mediante l’esercizio dell’ingratitudine e dell’anaffettività, perché la vera vita è quella che si svolge sotto i riflettori, alla Leopolda come in Duomo, un’esistenza retrocessa a recita e spettacolo a uso del popolo del quale rappresenta, ricordiamolo, la parte peggiore.

Eh si, il Renzi è peggio dei suoi modelli. E probabilmente perché a differenza di loro non ha dovuto costruirsi. Lo hanno disegnato così un tempo, un sistema, un modello colturale e di consumo che celebra la mediocrità, che esalta i privilegi e ogni forma di azione anche illecita, anche immorale, per mantenerli, che anche a questo fine incrementa le disuguaglianze in modo che qualcuno immeritatamente possa continuare ad essere più uguale degli altri, che premia affiliazione, ubbidienza, fidelizzazione, appartenenza in sostituzione di affinità, comune interesse a migliorare e affrancarsi, crescere e liberarsi. Paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate, dà nuova enfasi all’egemonia del privato sul pubblico, riducendo a elargizioni benevole i crediti riconosciuti alle imprese o il cuneo fiscale, in nome della scelta definitiva a stare dalla parte dei “padroni” anche dei padroni, con i quali conferisce via cavo con ossequiente deferenza, godendosi come un meritato premio il provvisorio potere che amministra come un cameriere nella grande cucina di Masterchef.

Come Mike coi gettoni d’oro si vende e rivende quattrini che non sono suoi, che non sa nemmeno come si guadagnino non  avendo mai lavorato, e che non ci sono, perché perfino per lui la ruota della fortuna ha girato dall’altra parte.


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