Firenze – Convento di San Marco – La cella di Savonarola – immagine tratta da “Firenze e la Toscana” di E.Muntz – 1899 – Fratelli Treves Editori
La scuola antica che conduceva alla rappresentazione del nudo coll’ ammirazione delle forme della natura umana, doveva trovare il suo completo svolgimento nel Tiziano, in Giulio Romano, nel Correggio e nel Michelangelo. Allora dal chiostro di S. Marco, che aveva trovato nel Fiesole un difensore così convinto della pittura religiosa, venne nuovamente una reazione contro la scuola moderna e paladino ne fu Savonarola.
Egli combatté i Medici che avevano promossa la scuola antica, appunto con le loro stesse armi. Essi avevano fondata l’Accademia platonica ed erano pieni di ammirazione per il paganesimo ; ma Savonarola stesso era un mistico platonico, come lo erano Lorenzo, Pico, Poliziano, Marsilio Eicino e molti altri. Il priore di S. Marco teneva delle prediche platoniche sull’essenza del bello e tuonava contro le nudità dell’arte appunto da quel pulpito, di fronte al quale erano la sepolture dei suoi amici Pico della Mirandola e Angelo Poliziano.
Il Marchese riporta un discorso del Savonarola, nel quale questi considera il bello platonicamente come l’anima e l’idea del buono. In forza di questa teoria egli sollevò una guerra fanatica contro la scuola antica e le arti che, volte alle cose mondane, a parer suo, traviano la razza umana. La violenza della sua parola scosse molti artisti che sino ad allora avevano dipinto o scolpito allegramente, e si videro l’eccellente Sandro Botticelli, Cronaca, Robbia, Bartolomeo, Lorenzo di Eredi e molti altri abiurare pentiti il loro paganesimo ai piedi del priore. Solo Mariotto Albertinelli e lo strano Piero di Cosimo non si lasciarono turbare, e restarono pagani ed avversari convinti del Savonarola e della sua setta morale.
Il 21 febbraio 1497 furono portati, al suono delle trombe e dei tamburi, tutti gli emblemi della mondanità sulla piazza della città. Ivi fu eretto un albero con molti rami, ai quali furono attaccati i ritratti delle più belle fiorentine, capolavori della pittura, nudi bellissimi, sculture di divinità, libri di musica, arpe e liuti, cembali e violini, carte, abiti di seta e di velluto; gli oggetti più costosi d’oro e d’avorio, ed anche le poesie del Petrarca e del Boccaccio si videro appese a quei rami. Gli esecutori di questo tribunale fanatico, che doveva giudicare le umane vanità, avevano perquisite le case, ed erano anche stati loro consegnati timorosamente, ed a titolo di penitenza, liberamente oggetti d’arte ed oggetti preziosi d’ogni genere. Un negoziante veneziano che si trovava appunto a Firenze e che non aveva scrupoli sull’essenza morale del bello, venne nell’ idea ragionevole che sarebbe stato meglio vendere questi oggetti così preziosi per il commercio, anziché bruciarli.
Egli offrì così per tutte quelle vanità mondane la modesta somma di 20.000 scudi. In seguito a ciò, la Signoria lo fece senz’altro prendere, mettere sopra una sedia e ritrattare da un pittore platonico e il suo ritratto fu posto in cima al rogo. Così fu bruciato quest’albero con tutti i suoi tesori, in mezzo al giubilo della folla. Ciò avvenne sulla piazza stessa ove, un anno dopo, fu arso il grande fanatico.
La morte del Savonarola rese inconsolabili gli artisti, suoi adepti. Molti smisero di dipingere, tra i quali anche Baccio della Porta, che rinunziò al mondo in segno di cordoglio e prese nel 1500 la tonaca dei domenicani. Baccio, o Fra Bartolomeo come si chiamò da allora, restò sei anni immerso nel dolore e non toccò i pennelli. Dipoi, si rinfrancò e cominciò le sue pitture religiose sulla esortazione dei suoi fratelli dell’ordine. Ciò avveniva al tempo, in cui Raffaello tornava per la seconda volta a Firenze. Egli strinse amicizia con Fra’ Bartolomeo ed imparò da lui il disegno ed i colori; sotto l’ascendente di lui fu iniziata la sua Madonna del Baldacchino, mai terminata, nella quale si riscontra chiaramente lo stile di Bartolomeo. Questi si formò a sua volta sulla maniera di Michelangelo e di Leonardo da Vinci, e molto lontano dal dipingere nella maniera dolce e delicata del Fiesole, divenne precisamente in S. Marco l’opposto del suo predecessore.
( Ferdinand Gregorovius – brano tratto da “San Marco di Firenze” dal libro “Passeggiate per l’Italia – Vol 3” – 1907 )